L’introduzione integrale del volume: Dal Kaiserhof alla Cancelleria del Reich

Dal nostro volume “Dal Kaiserhof alla Cancelleria del Reich“, l’introduzione a opera di Monica Mainardi traduttrice dall’originale tedesco “Vom Kaiserhof zur Reichskanzlei” del Dr. Joseph Goebbels.

IntroduzIone allEdizione Italiana

26493698Germania, 1932. È l’anno decisivo per giungere al Machtergreifung del 30 gennaio 1933. La crisi economica è agli apici e la miseria è estre­ma. Il tasso di disoccupazione è prossimo al 30 per cento (a gennaio i senza lavoro sono saliti alla cifra record di 6 milioni). L’instabilità po­litica e la litigiosità tra i partiti hanno raggiunto livelli di guardia. Il Si­stema nato il 9 novembre del 1918 a Weimar ha ormai perso tutta la sua credibilità nei confronti della maggioranza dei tedeschi. Da due anni il governo Brüning si sta ostinando a governare a colpi di legislazio­ne d’emergenza, facendo ricorso all’articolo 48 della Costituzione sui “poteri straordinari”, cercando una maggioranza parlamentare solida che escluda però socialdemocratici, comunisti e nazionalsocialisti. Ma invano. Il Paese si ritrova così sottoposto a una serie quasi ininterrotta di elezioni.

Il 10 aprile, Adolf Hitler non riesce a venir eletto Presidente del Reich per soli sei milioni di voti di scarto al ballottaggio con l’anziano ge­nerale von Hindenburg, che riesce a essere riconfermato solo perché tutti i partiti si sono coalizzati contro i nazionalsocialisti. Il 14 aprile, vengono messe al bando la SA e la SS, ma lo NSDAP consolida la pro­pria posizione con una serie di successi nelle elezioni regionali nei vari Länder; finché il 12 maggio il generale Gröner, ministro della Difesa e degli Interni e principale responsabile dell’azione governativa contro i nazionalsocialisti, si dimette. Stessa scelta compie, il 30 maggio, il Can­celliere Brüning, avendo perso la fiducia del Presidente Hindenburg e nonostante ne avesse appoggiato la rielezione. Il 1° giugno viene for­mato il gabinetto von Papen, che include il generale von Schleicher – un militare amico di Hindenburg – quale ministro della Difesa e un buon numero di Junker. È il gabinetto che passerà alla storia come “Alma­nacco di Gotha”. Il 4 giugno viene sciolto il Reichstag e il 16 von Papen revoca il decreto di scioglimento della SA e della SS. Il 19 luglio a Ber­lino si riunisce un congresso di unità antifascista promosso dal KPD, il Partito Comunista: gli scontri tra comunisti e socialdemocratici coaliz­zati contro i nazionalsocialisti insanguinano le strade. Nelle elezioni di luglio per il Reichstag, lo NSDAP – che nelle elezioni del 1928 (dove si era presentato per la prima volta) aveva raccolto solo il 2,4 per cento dei suffragi – riesce a raggiungere il 37,2 per cento dei voti: è il primo partito. Ma il Reichstag viene nuovamente sciolto poiché non si trova una maggioranza.

Alle elezioni del 6 novembre, lo NSDAP, pur restando primo partito, perde 34 seggi. Mentre si rafforza il KPD. Gli scontri tra nazionalso­cialisti e comunisti si fanno sempre più duri e selvaggi e, il 16 novem­bre, von Papen è costretto a dimettersi, sostituito, il 2 dicembre, da von Schleicher. Il nuovo Cancelliere mira a creare una maggioranza al Rei­chstag che riunisca i sindacalisti di sinistra dei vari partiti, compresi quelli dello NSDAP guidati da Gregor Strasser, numero due del Partito ed esponente dell’”ala sinistra”. Inizia così una pressante opera di “cor­teggiamento” nei confronti di Strasser, cui offre il vicecancellierato, nel tentativo di conquistarsi il maggior numero di esponenti dello NSDAPe nel contempo isolare Adolf Hitler. Ma Hitler si avvede della mossa e la argina: Strasser lascia il Partito a dicembre e fallisce l’intera manovra di von Schleicher. Quest’ultimo, il 28 gennaio 1933 sarà costretto alle dimissioni, sfiduciato sia da destra sia da sinistra. Il 30 gennaio, Adolf Hitler è il nuovo Cancelliere del Reich.

Tra gli artefici principali di quest’ardua ma straordinaria conquista del potere vi è un uomo: Joseph Goebbels.

Nato il 29 ottobre 1897 a Rheydt, centro di circa trentamila abitanti simbolo dell’industria tessile della Renania, da una famiglia cattolica di umili origini, il futuro ministro della Propaganda del Reich mostra fin dalla più giovane età eccezionali doti intellettuali e creative, che vanno a compensare il suo handicap fisico: a sette anni, un’osteomielite mal curata rende infatti necessaria una serie di interventi chirurgici che gli accorciano la gamba sinistra di una decina di centimetri. Studente acu­to e brillante, è appassionato di letteratura tedesca ma anche di teatro – tanto che negli anni del liceo si diletta nei panni di attore durante le recite scolastiche –, ed eccelle in latino e greco. La famiglia sogna per lui una carriera ecclesiastica, ma lui, dopo la delusione di non poter partire volontario per la Grande Guerra a causa della sua menomazione fisi­ca, sceglie un’altra strada. S’iscrive all’università e, nel novembre del 1921, si laurea in Filosofia ad Heidelberg, con una tesi su Wilhelm von Schütz, un drammaturgo minore del Romanticismo tedesco.

Gli anni dell’università sono anche quelli che lo vedono alle prese con le prime prove da scrittore: scrive novelle, poesie, una tragedia teatrale d’ispirazione religiosa sulla figura di Giuda Iscariota (il Judas Iscariot) e inizia a mettere le basi del suo unico romanzo, Michael – Diario di un de­stino tedesco, ampiamente autobiografico e che verrà pubblicato – dopo tre diverse rimaneggiature – nel 1929 (e che nel nostro Paese è stato pubblicato per la prima volta da Thule Italia nel 2012, ndt). In questo pe­riodo si sviluppa anche il sentimento politico di Goebbels, e prendono forma quelle che saranno le sue successive linee di condotta. Da un lato c’è la Germania e la cocente sconfitta che subisce con la Grande Guerra, che se da un lato lo allontanano dal suo iniziale e fervente cattolicesimo dall’altro incrementano il suo amore per la Patria sconfitta e umiliata e per quel suo Popolo tragicamente calpestato. Ma c’è anche il socialismo e lo spirito antiborghese, ai quali Goebbels si avvicina grazie a Richard Fliesges, un amico d’infanzia divenuto, dopo il ritorno dal fronte, anar­chico e pacifista. E che lo inizia alla letteratura russa e ai testi di Marx e di Engels. L’amore per la Germania e lo spirito socialista si fondono perfettamente nel giovane Goebbels, che si discosta da subito dal con­cetto di “classe” e di “lotta di classe”, preferendo loro quel “socialismo tedesco” che è invece incarnato nel Partito Nazionalsocialista Tedesco dei Lavoratori che è appena nato a Monaco, e che sta muovendo i primi passi nel Paese. Lui stesso, nel giugno 1922, immerso tra il pubblico del Circo Krone di Monaco, ha visto parlare l’uomo che incarna quei valori: Adolf Hitler. È l’inizio di un incantamento destinato a durare nel tempo e ad avere in futuro grandi e prodigiosi sviluppi.

Terminata l’università, Goebbels ritorna nella natale Rheydt, e nel 1922, dopo una parentesi di nove mesi in cui lavora presso la Dresd­ner Bank di Colonia, trova impiego come critico d’arte per un giornale, ma viene ben presto licenziato. Il suo intento è iniziare una carriera da giornalista. Però si scontra con una ben triste realtà: i grandi giornali e i gruppi editoriali più importanti sono per lo più in mano a potenti fa­miglie di origine ebraica – al pari di gran parte dell’industria culturale dell’intero Paese –, e le collaborazioni vengono gestite in maniera lob­bystica. Per il giovane neolaureato, che non appartiene al loro “clan”, e per la sua brillante penna non vi è quindi alcun spazio. Da qui inizia a svilupparsi il suo pensiero antiebraico che in seguito gli farà pronun­ciare e scrivere parole di fuoco contro la lobby ebraica e contro il suo monopolio culturale assolutamente anti-germanico.

È invece dalla politica che arriva l’opportunità di un impiego, che saprà metterlo in luce e ne rivelerà le straordinarie doti di polemista. Poco dopo il comizio al Circo Krone, egli ha infatti aderito allo NSDAP: è la tessera nr. 8762. Nel 1923, segue con attenzione la lotta di liberazio­ne nella Ruhr, durante la quale il patriota Albert Leo Schlageter viene fucilato dalle autorità francesi per sabotaggio. In quello stesso anno Hitler viene arrestato in seguito al putsch di Monaco e imprigionato a Landsberg, dove Goebbels gli invia una lettera di sostegno incondi­zionato. E, il 17 ottobre, inizia a scrivere i suoi celebri diari: un lavoro che lo accompagnerà fin quasi all’ultimo dei suoi giorni (l’ultima nota è del 10 aprile 1945, a meno di un mese dal suo suicidio) e che darà vita a un’opera di dimensioni immense. Scritti talvolta in maniera fret­tolosa e poco elegante, a differenza della meticolosa cura che il futuro ministro della Propaganda porrà poi invece nella preparazione dei suoi discorsi e articoli pubblici, su di essi si trovano appunti sugli incontri ai quali partecipava, riflessioni personali e idee. E questo ha fatto di essi un documento storico del periodo di primaria importanza, renden­doli oggetto di studio e di analisi. Inizialmente scritti a mano e poi, dal 1941, dettati a macchina, nel novembre 1944 furono fatti riversare su microfilm dallo stesso Goebbels, conscio dell’importanza storica di questi documenti, e seppelliti in un luogo sicuro a Potsdam; mentre gli originali manoscritti e battuti a macchina vennero invece conservati nella Cancelleria del Reich. Al termine del conflitto, i diari furono ritro­vati dalle truppe sovietiche e alleate, che se ne appropriarono. Ma toccò ai sovietici, giunti per primi nella capitale del Reich, trovare l’edizio­ne completa su microfilm. Dal dopoguerra in poi, sono stati pubblicati diversi estratti di questi diari, ma mai l’edizione completa, visto che gli originali cartacei erano spesso danneggiati o parziali. Gli originali completi – quelli su microfilm – sono stati ritrovati negli archivi di Mo­sca soltanto nel 1992, dove erano stati pressoché dimenticati; e da quel momento è stato infine possibile ottenere la versione integrale, che è stata curata da Elke Fröhlich dell’Institut für Zeitgeschichte (oggi la si può trovare nella versione online all’indirizzo: www. degruyter.com/view/db/tjgo, ndt).

Il 5 aprile 1924, Joseph Goebbels fonda a Rheydt la sezione locale del­lo NSDAP. A luglio 1924, organizza le prime riunioni politiche nella casa paterna (approfittando dei momenti in cui è assente il padre), a seguito delle quali viene interrogato dalle forze di occupazione belghe di Rheydt, in quanto agitatore politico. In quello stesso mese inizia a collaborare con la rivista settimanale Die Völkische Freiheit, “organo di lotta renano-westfalico per una Grande Germania nazionalista e socia­lista”, di cui a settembre diventerà il principale redattore (non stipen­diato) e il 2 ottobre direttore responsabile. E quell’estate giunge anche l’occasione per mettersi in luce come oratore: con l’amico Fritz Prang va a una riunione organizzata dai comunisti. Invitato a parlare, viene subito interrotto con l’accusa di essere uno sfruttatore capitalista; a quel punto Goebbels, con abile mossa, prende il portafoglio, lo svuota dei pochi spiccioli contenuti in esso e sfida il pubblico: “Ora svuotate i vo­stri. Chiunque abbia più soldi è molto più capitalista di me”. Il pubblico applaude conquistato e l’oratore può proseguire il suo discorso.$_35

Alla fine dell’estate si trasferisce a Elberfeld, città industriale della Renania, dove per lui ha inizio una nuova vita. Fatta d’impegno politi­co, di riunioni in cui brilla per le doti oratorie e di articoli sulla Völkische Freiheit. In uno di essi, dedicato ai concetti di Nazionalismo e Sociali­smo scrive: “Noi siamo nulla, la Germania è tutto”. Un tema simile a quello che aveva trattato poco tempo prima sul suo diario, allorché, il 10 giugno 1924, aveva scritto: “Il socialismo (nella sua forma pura) è l’as­soggettamento dell’individuo al bene dello Stato e alla Volksgemein­schaft (la comunità di popolo, ndr): tutto ciò non ha nulla a che vedere con l’Internazionale”. Sotto la sua direzione la Völkische Freiheit – che in precedenza era più focalizzata sul nazionalismo – assume un’impronta sempre più marcatamente socialista. E la fama di scrittore e di oratore si espande in tutta la Renania.

Il 23 dicembre 1924, Adolf Hitler lascia la prigione di Landsberg, in libertà condizionata, nove mesi dopo la condanna a cinque anni di car­cere. Joseph Goebbels scrive sul suo diario: “Adolf Hitler è libero! D’ora in poi ci potremo staccare dai völkisch reazionari e ritornare a essere dei puri nazionalisti-socialisti. Heil, Adolf Hitler! Noi ora ritroviamo la fede nella forza vittoriosa delle idee”.

Alla fine del gennaio 1925 Goebbels viene licenziato dalla Völkische Freiheit, dove mal si sopportano i suoi attacchi ai reazionari e le conti­nue polemiche contro le forze “conservatrici” e “tedesco-nazionali” (os­sia quelle concentrate attorno al Partito Tedesco-Nazionale, formazione reazionaria del periodo di Weimar, ndr). Ma il mese successivo diventa assistente del neonominato Gauleiter dello NSDAP per la Renania del Nord, il giornalista Axel Ripke. I rapporti tra Goebbels e Ripke si fanno però ben presto tesi: il Gauleiter è troppo conservatore, “vecchio stile” e diplomatico; e non ha abbastanza polso nei confronti delle forze di occupazione francesi che spadroneggiano in tutta la Renania, persegui­tando e arrestando i militanti nazionalsocialisti. Riguardo a Ripke, Go­ebbels arriva a scrivere: “Odia il mio radicalismo come se fosse peste. Ahimé, è un uomo borghese sotto mentite spoglie. Non è la persona adatta a fare una rivoluzione”.

Di tutt’altro parere sarà invece nei confronti di Gregor Strasser, depu­tato del Reichstag dal 1924 e – nei fatti – vero e proprio “numero due” del Partito, che rappresenta l’ala più radicale, socialista, anticapitali­sta e “di sinistra” del Movimento; e al quale Hitler ha da poco affida­to il compito di riorganizzare il Partito nel nord del Paese. Nell’estate del 1935, Strasser assiste a un comizio di Goebbels, che dal maggio di quell’anno ha anche iniziato a collaborare con il Völkischer Beobachter,che il 26 febbraio 1925 – dopo la rifondazione del Partito a opera di Hit­ler – ha ripreso le pubblicazioni e, con Alfred Rosenberg quale editore, funge ormai da organo di stampa ufficiale dello NSDAP. Strasser resta positivamente colpito dalla figura di Goebbels e dalle sue capacità ora­torie e gli propone di diventare suo segretario personale, un posto che fino a quel momento era occupato da Heinrich Himmler, il futuro Rei­chsführer della Schutzstaffel (SS). Inoltre, lo fa diventare redattore capo di NS-Briefe (“Lettere nazionalsocialiste”), il bimensile nato in quello stesso anno e destinato ai quadri dello NSDAP. E nel quale Goebbels mostra a più riprese la sua vicinanza e simpatia per i lavoratori tede­schi. Di Strasser Goebbels scrive sul suo diario: “È molto meno ‘borghe­se’ di quanto lo credessi all’inizio… Ha spirito e senso dell’umorismo. Un vero bavarese di vecchio stampo! È un piacere lavorare con lui. Che differenza rispetto a Ripke!”.

A ottobre, viene pubblicato Das kleine abc des Nationalsozialisten (“Ilpiccolo abc dei Nazionalsocialisti”, che si può trovare in appendice al romanzo Michael edito da Thule Italia, ndr), un pamphlet di propaganda fatto di domande e risposte in cui Goebbels illustra vari aspetti dell’ide­ologia nazionalsocialista, ma anche riguardanti temi della politica te­desca dell’epoca (per esempio si parla dei vari partiti allora presenti nel Paese). Questo scritto verrà in seguito riproposto e ripubblicato più volte, sia prima sia dopo la presa del potere. Nel Kleine abc egli scrive:

“Qual è il primo comandamento di ogni nazionalsocialista? Ama la Germania sopra a ogni cosa e il tuo connazionale come te stesso! – Che obiettivo si è posto il concetto nazionalsocialista di libertà? La comu­nità di popolo che raggruppa tutti i Tedeschi onesti e creatori! – Qual è il contenuto di questa comunità di popolo? Libertà e pane per ogni singolo cittadino tedesco!”.

O, ancora:

“I concetti ‘nazionale’ e ‘socialista’ non sono in conflitto tra loro? No, piuttosto è l’esatto contrario! L’uomo davvero nazionalista pensa in maniera socialista, e il vero socialista è nazionalista! – Quando penso da socialista? Penso da socialista quando combatto affinché i diritti na­turali di libertà e pane vengano considerati un diritto per quella parte oppressa dei miei connazionali, e quando pretendo che vengano con­servati in quanto tali, piuttosto che dati come un regalo volontario o in­volontario – Per raggiungere il proprio obiettivo, lo NSDAP utilizzerà la lotta di classe? No, lo NSDAP non vuole la lotta di classe, ma vuole la lotta contro la lotta di classe. La lotta di classe spezza il popolo tedesco in due parti e rende incapaci di diventare una nazione. – Come si com­batte nella maniera più efficace la lotta di classe? Si combatte la lotta di classe nella maniera più efficace lottando per il diritto all’esistenza del Popolo lavoratore, ossia, attraverso la lotta per eliminare i presupposti e i motivi che portano alla lotta di classe.”.

Nell’autunno di quel 1925, Goebbels è al fianco di Gregor Strasser e del fratello Otto nel sostenere una campagna (proposta dai deputati co­munisti e socialdemocratici) per l’espropriazione dei beni dei principi. Con loro si schiera un buon numero di vertici del Partito delle regioni settentrionali del Paese. Lo NSDAP rischia una vera e propria spacca­tura interna. Ma Adolf Hitler, il 14 febbraio 1926, alla Conferenza dei Gauleiter a Bamberga, riesce a riprendere in mano la situazione e a far desistere i “ribelli” dall’idea di modificare i punti programmatici del 1920 ideati da Gottfried Feder (per questo programma si veda: Gottfri­ed Feder, Il programma del NSDAP, Thule Italia, 2011, ndr) con un nuovo programma ideato dal gruppo di Strasser: 24 punti orientati più a sini­stra e di impronta marcatamente anti-borghese – e che prevede, tra le altre cose, l’alleanza in campo internazionale con l’Unione Sovietica – la cui stesura definitiva è stata fatta affidata allo stesso Goebbels.

Per Goebbels, fervente socialista e accanito oppositore dei privilegi di casta – siano essi borghesi o nobiliari –, Bamberga rappresenta una cocente delusione. Soprattutto nei confronti di Adolf Hitler, sul qua­le sembra che già nelle settimane precedenti l’incontro avesse lancia­to pesanti critiche. Secondo quanto raccontò in seguito Otto Strasser – “anima” dei rivoltosi –, Goebbels era infatti arrivato a sostenere che “quel piccolo borghese” doveva venire espulso dal Partito; secondo Al­fred Rosenberg – che invece fa parte dell’ortodossia del Partito –, “herr Doktor” aveva dichiarato che “Hitler ha tradito il socialismo”. Quello che è certo è che sul suo diario Goebbels descrive così l’intervento di Hitler a Bamberga:

54846“Hitler fa un discorso di due ore. Sono assolutamente sbalordito. Che Hitler è mai quello lì? Un reazionario? Straordinariamente maldestro e indeciso. Questione russa: completamente fuori bersaglio. L’Italia e l’Inghilterra sono i nostri alleati naturali. Terrificante! La nostra mis­sione è la distruzione del Bolscevismo. Il Bolscevismo è di impronta ebraica. Noi dobbiamo raccogliere l’eredità della Russia! 180 milioni di persone!!! Indennizzo dei principi! Il diritto deve restare diritto. E questo vale anche per i principi. Non attentare alla proprietà privata! (sic!) Atroce!”.

Dopo Bamberga, Goebbels resta però deluso anche da Gregor Strasser, che non solo si dimostra dotato di poco nerbo al momento di replicare a Hitler (nel diario si legge: “Parla Strasser. Esitante, tremante, malde­stro…”), ma che dopo quell’incontro fa pure circolare una richiesta in cui si invitano tutti i Gauleiter a restituire – al fine di poterlo distrugge­re – lo scritto redatto da Goebbels sul nuovo programma del Partito.

Ma la frizione tra Goebbels e Hitler dura poco. Anche perché – scor­rendo i diari di Goebbels – si intuisce perfettamente che mai, in nessun momento, egli ha perso la fiducia nel Führer. Certo, talvolta l’ha cre­duto influenzato dal gruppo di Monaco dello NSDAP, che considera eccessivamente “reazionario”, ma la sua fiducia in Hitler non è mai crollata davvero. Anche nei momenti di maggior tensione, Goebbels resta fermo nella certezza di poter portare il Führer dalla sua parte, strappandolo alla “cricca di Monaco”. E quanto scrive dopo Bamberga non è altro che la delusione passeggera di un momento.

Lo stesso Hitler, che è positivamente impressionato dal carisma di quel giovane renano tanto brillante ed entusiasta, gli offre di parlare in pubblico a Monaco l’8 aprile. Poi, l’indomani, lo convoca per un colloquio privato di quattro ore. Al termine delle quali, Goebbels è totalmente riconquistato. Dopo quell’incontro, egli comprende e con-divide la prassi politica di Adolf Hitler, che prevede che Socialismo e Nazionalismo vadano di pari passo, senza premature “corse in avanti” e senza strappi traumatici, che rischierebbero solo di bruciare quella “rivoluzione tedesca” cui si sta mirando. Una prassi politica che è fatta di rispetto della proprietà privata, quale maggiore stimolo dell’attività economica; di rigetto completo e assoluto dell’imperialismo sovietico; e anche, in quel preciso momento storico, di una necessaria cooperazione con i gruppi nazionalisti del Paese. Quella di Goebbels è un’adesione incondizionata al Führer e alle sue tesi, che proseguirà fino alle sue ul­time ore di vita nel bunker di Berlino nel 1945. Egli si allontana così definitivamente da Gregor Strasser; e da allora diventa il più fanatico, convinto e fedele sostenitore di Hitler, che a più riprese e in più occasio­ni definirà “genio politico”.

Il 28 ottobre 1926, un giorno prima del suo ventinovesimo complean­no, Joseph Goebbels viene nominato Gauleiter di Berlino-Brandeburgo. “Herr Doktor” si trasferisce così nella “rossa Berlino”, con il compito di conquistare la difficilissima e ostile capitale tedesca, e portarla verso il Nazionalsocialismo. Il Gau di Berlino dello NSDAP era stato creato nel febbraio del 1925, e nelle elezioni municipali che si erano tenute nell’ot­tobre di quell’anno il Partito aveva raccolto solo 137 voti.

Berlino è una città assolutamente unica nel panorama dell’Europa dell’epoca. Dal 1920, con la legge che ha istituito la Gross-Berlin (la Grande Berlino) che comprende, oltre all’originario territorio cittadino berlinese, molti comuni e città circostanti, è diventata una megalopo­li. Sovrappopolata, divisa in venti distretti amministrativi, comprende quartieri residenziali, grandi insediamenti industriali e quartieri di ca­sermoni d’affitto (Mietskaserne) per la popolazione in continua cresci­ta; in alcune zone la densità abitativa arriva a superare le 100.000 per­sone al km•! Già il 1º ottobre 1920, allorché era entrata in vigore questa legge, Berlino era la seconda città del mondo per superficie – dopo Los Angeles – e la terza per numero di abitanti, dopo Londra e New York: il numero degli abitanti era raddoppiato, da 1,9 milioni a oltre 3,8 milioni; la superficie della città era passata da 66 km² a 883 km².Questa megalopoli, che Goebbels definisce nei suoi diari “grande de­serto d’asfalto”, è un miscuglio internazionale di razze, punto d’incon­tro e scontro della cultura europea occidentale e orientale, e rappresenta il simbolo stesso della cultura libertaria e decadente della Repubblica di Weimar. I venti distretti amministrativi passano dal ricco Zehlendorf, con i suoi 470.000 abitanti, al misero e proletario Kreuzberg e i suoi 370.000 cittadini. Politicamente, è una roccaforte “rossa” che non trova pari in nessun’altra parte del mondo occidentale. Interi distretti sono in mano a marxisti e comunisti, al pari delle città che la circondano, come Oranienburg, Nauen, Fürstenwalde e Zossen. Essere nazionalsociali­sti in certi quartieri di Berlino, come Wedding, Moabit o Kopenick, è praticamente una pazzia. Nelle elezioni presidenziali del marzo 1925, 308.591 berlinesi avevano votato per Ernst Thälmann, il candidato del KPD (il Partito Comunista). Nelle elezioni municipali di ottobre – dove lo NSDAP aveva ottenuto, come già detto, solo 137 voti –, il 52,2 per cento aveva votato per i partiti d’ispirazione marxista, ossia l’SPD e il KPD (con i comunisti che avevano incrementato ulteriormente i con­sensi rispetto alle presidenziali, arrivando a 347.382 voti).

Nella città la fanno da padroni – e finanziati direttamente dall’amba­sciata sovietica – il Roter Frontkämpferbund (ossia, la Lega dei combat­tenti del Fronte rosso: l’organizzazione paramilitare creata il 18 luglio del 1924 – e il cui primo leader è Ernst Thälmann – che ha il compi­to di fungere da braccio militare del KPD), e il Rote Hilfe (il Soccorso Rosso), direttamente affiliato al Soccorso Rosso Internazionale, sorto per tutelare i prigionieri comunisti. Come se non bastasse, nella città sono attivissimi anche i militanti del Reichsbanner Schwarz-Rot-Gold, l’organizzazione paramilitare e militante creata nel 1924 dall’SPD per difendere la Repubblica di Weimar.

Quando Goebbels assume la carica di Gauleiter, lo NSDAP berlinese ha già tre “martiri”: Willi Dreyer caduto nel 1924, Werner Doelle nel 1925, Harry Anderssen assassinato il 26 settembre 1926 da una banda comunista a Kreuzberg. Il nemico è ben visibile e identificabile a Ber­lino.

E nella città è chiara la presenza anche di un altro avversario. Un avversario che già nel passato Goebbels aveva ben chiaro: l’ebreo, con il suo strapotere nella società civile e politica, e il suo monopolio pres­soché assoluto nella vita culturale. Berlino è, infatti, una città rossa ed ebraica in egual misura. Nel corso di un secolo circa, la popolazione di origine ebraica aveva avuto un incremento notevolissimo: dai 3.400 ebrei del 1816, si era passati ai 36.500 del 1871 e ai 100.000 di fine se­colo; e, secondo il censimento del 1925, la città ospita il 42,7 per cento dei 546.379 membri di confessione ebraica presenti nell’intera Germa­nia (cifra che ovviamente non comprende gli ebrei battezzati e gli ebrei “senza confessione”). Moltissimi tra loro sono ebrei emigrati dall’Est Europa e la maggior parte di essi abita nei quartieri ricchi. A livello lavorativo si distribuiscono per lo più tra professioni liberali, commer­ciali e attività inerenti all’ambito culturale (scuola, università, editoria, teatro, cinema). Rispetto alla popolazione totale della città rappresen­tano una minoranza (basti fare riferimento ai dati del 1925: su una po­polazione totale di 4.013.588 abitanti, ve ne sono 233.303 di confessione ebraica, circa il 5,8 per cento), ma occupano fette ampissime delle attivi­tà lavorative più di prestigio e più remunerative: rappresentano oltre la metà degli avvocati di Berlino, il 15 per cento degli agenti immobiliari, quasi l’11 per cento dei medici, e poi ci sono dentisti, farmacisti, giudici, pubblici ministeri e accademici. Per non parlare delle attività in campo finanziario: solo nel comitato di direzione della Borsa a Berlino gli ebrei rappresentano quasi l’80 per cento. Ed essi hanno in mano i maggiori organi d’informazione, che gestiscono in maniera assolutamente esclu­siva e lobbystica, come Goebbels aveva già notato – e subìto – allorché aveva tentato invano la carriera di giornalista alla fine degli studi uni­versitari. Su tutti, vi è il Berliner Tageblatt, simbolo di quella Judenpresse (la “stampa ebraica”) e di quela Journaille (i “giornali canaglia”) che di­venterà uno degli obiettivi principali degli strali del nuovo Gauleiter.

Questa è quindi la città dove Goebbels approda il 7 novembre 1926, dopo aver definitivamente lasciato Elberfeld e la Renania. Una città ar­dua e ostile. Ma avere in mano Berlino significa avere in mano l’intera Germania. E questo è il lavoro che Goebbels si appresta a fare.Da subito prende in mano la situazione, e il Gau vive un vivace atti­vismo mai visto fino a quel momento. A novembre incontra i Kreisleiter (i responsabili di circondario), definendo le nuove linee programmati­che, poi riunisce la “vecchia guardia” – i veterani del Partito e della SA con cui inizia immediatamente a fare comizi nei vari quartieri della città, compresi quelli più “rossi”. A dicembre, allorché si trasferisce dal 109 di Potsdamer Strasse ai nuovi uffici al n. 44 di Lützowstrasse (sede che poi si trasferirà in Hedemannstrasse 10 nel 1928 e infine in Vo?strasse 11 nel 1932, ndr), mette mano all’organizzazione della SA, riorganizzandola in tre Standarten e dando una forte stretta a livello di disciplina: ora in servizio è vietato fumare e bere.

La lotta politica a Berlino si svolge per le strade. I comunisti sono vere e proprie guardie rosse che vigilano, e ogni apparizione delle camicie brune viene considerata una provocazione da coloro che si credono gli unici possessori del diritto di rivolgersi al popolo. Minacce, agguati ai militanti, assalti alle sale delle riunioni del Partito sono all’ordine del giorno. E tutto accade senza che la polizia repubblicana reagisca, e da­vanti alla sua totale indifferenza. Anzi, il più delle volte la polizia arriva ad arrestare e perseguitare i militanti nazionalsocialisti che hanno su­bìto l’attacco avversario. Ma Goebbels riesce in breve tempo a capovol­gere la situazione, come descriverà poi nel libro Kampf um Berlin (“Laconquista di Berlino”, Edizioni di Ar) pubblicato nel 1934.

Organizzatore instancabile, ha un carisma senza pari, con il quale rie­sce a conquistare anche le piazze più refrattarie. Le sue doti di abilissi­mo oratore, sempre padrone di sé, riescono ad accendere l’entusiasmo delle folle. La sua voce profonda e affascinante, la sua straordinaria abilità nell’utilizzare l’ironia gli permettono di stabilire un contatto im­mediato con il pubblico che assiste ai suoi comizi e che, in seguito, lo se­guirà alla radio: uno strumento che saprà utilizzare come mai nessuno prima di lui (tanto che – comprendendone appieno la straordinaria im­portanza e utilità – arriva a creare una scuola per speaker radiofonici). Egli rappresenta un vero e proprio megafono dei sentimenti popolari. Cosa che lo fa diventare il nemico numero uno del Fronte rosso, che lo soprannomina prontamente il “superbandito”.

Nel 1927, Goebbels fonda e dirige il giornale Der Angriff, con il quale rompe il monopolio editoriale degli Strasser con il loro Berliner Arbei­terzeitung (di cui è direttore Otto Strasser) e le NS–Briefe, e introduce nello staff redazionale il talento del caricaturista Hans Schweitzer, in arte Mjölnir. Dalle colonne del suo giornale svolge un’efficace opera di propaganda, lanciando per esempio il celeberrimo slogan “Ein Volk, Ein Reich, Ein Führer” (“un Popolo, un Impero, un Capo”). Ma anche creando una sorta di nuovo linguaggio, fatto di diversi neologismi di grande impatto: con termini come l’“Asphaltpresse”, l’“Asphaltliterat”, l’“Asphaltdemokratie”, l’“Asphaltkultur” – letteralmente la stampa, il letterato, la democrazia e la cultura “d’asfalto”, dove quel “d’asfalto” significa “decadente e corrotto” –, oppure come “Bonze” e “Bonzende­mokratie” – dove con “Bonze”, ossia “bonzo”, si identificano gli “alti papaveri” del Sistema di Weimar (tra politici, funzionari, finanzieri e vertici sindacali) che hanno fatto fortuna e si sono arricchiti ai danni del Popolo e dei lavoratori, e dove la “Bonzendemokratie” è il Sistema stes­so di Weimar –, oppure come il già citato “Journaille” (ossia, “i giornali canaglia”, nato da una fusione dei termini francesi “journal”=giornale e “canaille”=canaglia).

Con i suoi pungenti editoriali Goebbels si rivela abile polemista, e si procura anche numerosi processi per offese alle autorità. Tra i suoi ber­sagli preferiti vi è il Vice Presidente della Polizia di Berlino, Bernhard Weiss. Di famiglia ebraica, membro del Partito Democratico Tedesco e attivissimo all’interno delle associazioni ebraiche, è il campione del­la repressione poliziesca contro i nazionalsocialisti: nel 1927, ordina la chiusura della sezione berlinese dello NSDAP, e in quello stesso anno 500 membri del Partito vengono arrestati, di ritorno dal Congresso del Partito a Norimberga, con l’accusa di appartenere a un’organizzazione illegale. Weiss diventa così l’oggetto preferito degli attacchi propagan­distici di Goebbels, che lo ridicolizza chiamandolo – a causa delle origi­ni ebraiche – “Isidor”, un nomignolo che diverte sia i nazionalsocialisti sia i comunisti. A “Isidor” nel 1928 dedica persino un libro, Das Buch Isidor (Il libro “Isidor”), una graffiante opera illustrata dalle caricature di Mjölnir; e commissiona alla SA di creare una marcetta dedicata al Vice Presidente della Polizia berlinese. Weiss fa causa a Goebbels per l’utilizzo di questo nomignolo, vincendola. Ma il futuro ministro della Propaganda non si dà per vinto e prosegue imperturbabile a chiamarlo in quel modo. Weiss lo denuncia per altre 40 volte, e in ogni occasione tenta di impedire a Goebbels di prendere la parola nei raduni nazional­socialisti.

Il 20 maggio 1928, in occasione delle elezioni per il Reichstag, Go­ebbels è uno dei dodici eletti dello NSDAP. Verso la fine del 1929, fa un passo ulteriore: Hitler lo mette a capo dell’apparato di propaganda del Partito per l’intero territorio nazionale. Cosa che gli permette di mostrare al meglio le sue straordinarie capacità e, a partire dal 1930, di ottenere spettacolari successi elettorali grazie a un’insistente propa­ganda di straordinario impatto. Il 14 settembre 1930, alle elezioni per il Reichstag, lo NSDAP ottiene i primi successi: dagli 810.127 voti e 12 seggi del 1928, il Partito passa a 6.406.379 voti e 107 seggi. In quello stesso anno, ma nel mese di febbraio, nella Berlino sempre più scon­volta dal “terrore rosso”, perde la vita il giovane Sturmführer-SA Horst Wessel. Goebbels decide di farne un simbolo della lotta nazionalsocia­lista. Su Der Angriff scrive parole struggenti sul giovane eroe, su questo studente che aveva scelto di diventare lavoratore per essere più vicino al Popolo e che aveva scritto tante poesie diventate tra i primi canti del­la SA. Tra le quali vi è quel Die Fahne Hoch divenuto in seguito – dopo la presa del potere – secondo inno nazionale della Germania. Poi, passo a passo, il Gauleiter di Berlino costruisce attorno alla memoria di questo ragazzo un vero e proprio mito, che rappresenterà per tutti la lotta e il sacrificio compiuti dai nazionalsocialisti per “risvegliare la Germania”. Successivamente, sulla figura di Horst Wessel si svilupperà una ponde­rosa pubblicistica, a partire dal romanzo di Hanns Heinz Ewers, Horst Wessel. Ein deutsches Schicksal (pubblicato nel 1932, e apparso in Italia per la prima volta lo scorso anno per Thule Italia Editrice con il titolo “Horst Wessel. Un destino tedesco”), dal quale, nel 1933, verrà tratto – sotto la diretta supervisione di Goebbels – il film di Franz Wenzler Hans Westmar. Einer von vielen. Ein deutsches Schicksal aus dem Jahre 1929.

Dal 1930, Goebbels getta le basi per la conquista del potere, facen­do ricorso a ogni strumento possibile. Riorganizza i manifesti propa­gandistici, ridisegnandoli con caratteri più marcati e colori più vivaci per attrarre più facilmente il pubblico; segue e supervisiona la stampa nazionalsocialista, mirando a creare una generazione di giornalisti più brillanti e incisivi; utilizza ampiamente la radio – che resta, anche dopo la presa del potere, uno degli strumenti principe della sua propaganda – con la quale fa trasmettere i comizi nelle più grandi città tedesche, ma anche il grammofono – facendo distribuire per posta dei dischi (nelle sole elezioni presidenziali del 1932, ne vengono incisi più di 50.000!) che contengono duri attacchi al governo e discorsi dei vari leader del Partito; fa realizzare filmati propagandistici da proiettare nelle varie città del Paese; cura in ogni singolo dettaglio la coreografia dei grandi raduni di massa. E su ogni singola cosa c’è la sua continua e attenta supervisione. Scrive articoli di giornali, elabora i testi dei volantini, dei manifesti e dei grandi cartelloni elettorali, controlla ogni singola registrazione che verrà incisa sui dischi da distribuire come propaganda, continua a fare riunioni con i collaboratori, con i responsabili di Partito e fa comizi in tutto il Paese. E nel frattempo non interrompe la sua attività di scrittore e pubblica libri – in quel periodo escono: Die zweite Revolution. Brie­fe an Zeitgenossen (1926) e Wege ins Dritte Reich. Briefe und Aufsätze für Zeitgenossen (1927), due raccolte di lettere aperte, il pamphlet Der Nazi­SoziFragen und Antworten für den Nationalsozialisten (1927) e i già citati Das Buch Isidor (1928) e Michael (1929). In campagna elettorale, persi­no l’aviazione diventa per lui uno strumento di propaganda: nel tour elettorale del 1932, Hitler arriva infatti ai comizi in aereo e Goebbels lo annuncia alle folle come una sorta di semidio che giunge dal cielo. Un’attività indefessa, che spesso lo porta a dormire non più di un paio di ore per notte e a lasciare più di una volta in secondo piano la famiglia (il 19 dicembre 1931, si è infatti sposato con Magda, moglie divorzia­ta dell’industriale Günther Quandt, che gli darà sei figli, la prima dei quali, Helga, nasce il 1° settembre 1932, nel bel mezzo delle battaglie elettorali di quell’anno).

Ecco come egli spiegherà il concetto di “propaganda” nel 1933, allor­ché, a 35 anni, diventa il ministro più giovane d’Europa, e viene posto a capo del neocostituito Ministero per l’Istruzione popolare e la Propa­ganda, attraverso il quale arriverà a gestire tutti i media (radio, cinema, teatro e musica) facendo uso di tutti i più moderni mezzi di espres­sione, diventando nel giro di pochi anni uno degli uomini più potenti della Germania, ammirato per le sue capacità, studiato e copiato anche all’estero: “Propaganda – una parola spesso oltraggiata e fraintesa. Il profano pensa a qualcosa di deteriore o addirittura di spregiativo. La parola ‘propaganda’ ha sempre un sapore amaro. Se però analizziamo la pro­paganda nelle sue più riposte cause giungeremo a risultati diversi. Il propagandista deve essere il miglior conoscitore delle anime. Non po­trò convincere nessun essere umano della necessità di una cosa, se non saprò toccare la corda che farà risuonare la sua anima.

“Non è vero che la propaganda rappresenta solamente rozze frasi fatte, non è vero che il propagandista non fa altro che somministrare alle masse in forma rozza, allo stato bruto pensieri complicati. Il propa­gandista non deve solo conoscere in generale l’anima del Popolo, deve anche capire le vibrazioni segrete dell’animo popolare in una direzio­ne o nell’altra. Il propagandista non si rivolge solamente al Popolo nel suo complesso, ma anche alle sue singole parti: egli parla all’operaio, al contadino, all’uomo di città, al tedesco meridionale e al tedesco set­tentrionale, egli deve saper parlare alle diverse categorie professionali e alle diverse confessioni. Il propagandista deve sempre essere in grado di parlare la lingua che la gente capisce. Queste capacità sono le pre­messe essenziali per il successo. […]

“Dei metodi della propaganda non può giudicare un esteta qualun­que. Un giudizio decisivo può essere dato solo sulla base del succes­so. Perché la propaganda non è fine a se stessa ma un mezzo per rag­giungere uno scopo. Se con questo mezzo abbiamo raggiunto lo scopo, vuol dire che il mezzo è buono; se poi corrisponda in ogni caso a criteri estetici è indifferente. Se però lo scopo non è stato raggiunto, vuol dire che il mezzo era cattivo. Lo scopo del nostro movimento era quello di mobilitare uomini, organizzarli e conquistarli all’idea nazional-rivolu­zionaria. Questo scopo – neanche il più maligno potrebbe contestarlo – è stato raggiunto; con questo è stato pronunciato anche il giudizio sui nostri metodi propagandistici.[…]

“I compiti più importanti di questo ministero devono essere i se­guenti: in primo luogo bisogna centralizzare in una sola mano tutte le imprese propagandistiche e tutti gli enti di informazione popolare del Reich e dei Länder. Deve essere inoltre nostro compito dare a queste istituzioni propagandistiche un impulso moderno, in conformità con il nostro tempo. Non deve essere la tecnica a sopravanzare il Reich, ma il Reich deve andare di pari passo con la tecnica. Il più moderno è buono a sufficienza. Noi viviamo in un’età in cui le masse devono schierarsi dietro a una politica. Il Movimento nazionalsocialista e il governo della rivoluzione nazionale capeggiato da esso si basano esclusivamente sul principio della personalità. Il principio della massa e quello dell’indi­viduo non devono contraddirsi. Al contrario, la vera personalità non si subordinerà mai alla massa, ma si verificherà il rapporto inverso. I moderni capi di popolo devono essere dei moderni re popolari, essi devono capire le masse, ma non devono adularle.

“Essi hanno il dovere di dire alla massa che cosa vogliono e spiegarlo in modo che le masse lo capiscano. Il motto secondo cui i subordinati avrebbero intelligenza limitata deve scomparire in Germania una volta per tutte. […]

“È compito della propaganda statale semplificare idee complicate perché alla fine anche il più umile uomo della strada possa capirle. Il Popolo non è così irragionevole come comunemente si ritiene”.

Ma eccoci al fatidico e decisivo 1932. Goebbels, in quanto responsa­bile della propaganda sull’intero territorio nazionale, è l’artefice e il coordinatore delle attività propagandistiche di questo anno fitto di ap­puntamenti elettorali. Un anno che vede il Partito immerso nella lotta: tra gli estenuanti tour elettorali dei suoi massimi leader e la repressione sempre più spietata da parte delle forze reazionarie e il “terrore rosso”, che costerà ai militanti dello NSDAP – su tutti, la SA e la Hitlerjugend – un gravosissimo tributo di sangue.In quest’anno Goebbels dà il meglio di sé. Si dedica anima e corpo al Partito, al punto che, più di una volta, al termine delle sue sfiancanti campagne elettorali, si ammala. Ma, anche febbricitante, non desiste e continua ad andare avanti. Verso l’obiettivo finale. Che il 30 gennaio del 1933 viene raggiunto: Adolf Hitler diventa il Cancelliere del Reich.

Berlino, 30 gennaio 1934. A un anno esatto dalla conquista del pote­re, Joseph Goebbels pubblica Vom Kaiserhof zur Reichskanzlei (“Dal Kai­serhof alla Cancelleria del Reich”), dedicandolo ad Adolf Hitler. Al suo Führer, che in quell’incredibile anno è riuscito a passare dall’hotel Kai­serhof, dove alloggiava durante la sua permanenza a Berlino, alla Can­celleria del Reich. Ma lo dedica anche alla “vecchia guardia”, a quegli uomini della SA che hanno seguito fedelmente il loro Führer in questo arduo cammino. Nell’introduzione scrive infatti:

“La rivoluzione tedesca è stata possibile grazie al sacrificio persona­le e materiale del Führer e del proprio seguito; e di questo l’opinione pubblica a tutt’oggi non ne ha pressoché cognizione. […] Gli avversari del Movimento nazionalsocialista al tempo della loro opposizione non si sono mai stancati di inserire dei cunei tra il Führer e i suoi primi collaboratori. Da parte loro era anche molto comprensibile; perché non erano così stupidi da non comprendere che l’unica possibilità di disto­gliere il Movimento dal suo scopo finale e di farlo alla fine sfracellare nella disfatta e nell’assenza totale di risultati stava nel provocare una frattura all’interno della comunità composta dai vertici dirigenziali na­zionalsocialisti. Solo di rado gli uomini che stavano attorno ad Adolf Hitler poterono rispondere al fuoco di queste menzogne dei loro av­versari – che colpivano come cannonate. Essi sapevano molto bene che in quel modo non erano in grado di far tacere il clamore della stampa, e così a volte dovevano aprirsi un varco in un mare di fango; per tutti loro esisteva qualcosa di sacro e di intangibile che rivelavano solo nei momenti di necessità e quando si trovavano sotto la più forte pressione del pubblico esterno: l’amore, la fedeltà e l’onore che essi dimostrava­no al Führer incessantemente e che non vacillavano mai in alcuna crisi e in alcun sconvolgimento. Rispetto a tutti gli altri, essi si sentivano

parte di un esercito politico, che era stato affidato al suo comando, in modo unanime e solidale. Con questo esercito condivisero il sacrificio e con esso la cieca devozione nei confronti di quell’uomo, nelle cui mani ognuno di loro aveva scelto di porsi; le stesse mani alle quali ognuno di loro voleva consegnare un giorno il destino dell’intera nazione tedesca. Il nostro cammino verso il potere non è altro che un sublime canto di fedeltà, che solo molto di rado nella storia è stato scritto con questo lu­minoso splendore. E allorché uno della prima fila falliva e non era più in grado di compiere quella missione alla quale era stato chiamato a suo tempo, questo fatto provocava una sola cosa: rafforzava in maniera assolutamente evidente la forza e l’indiscutibilità della fedeltà di tutti gli altri, e le faceva manifestare.

“Valore, coraggio e forza: queste erano le virtù che sono state necessa­rie al Movimento nazionalsocialista del Führer – presenti fino nell’ulti­mo dei suoi uomini – lungo il cammino verso il potere. Con esse siamo anche riusciti a conquistare il potere. Esse a quel tempo erano talvolta sottoposte alle più grandi crisi e al più funesto logorio causato dal più duro sconvolgimento personale. Eppure non vennero mai fatte a pezzi; anzi, accadde l’esatto contrario: più le insidie e le tentazioni erano gran­di, più esse si svilupparono in maniera ferma e priva di compromessi, dimostrando senza ombra di dubbio che il Nazionalsocialismo giunse alla vittoria non solo grazie al fatto che era il meglio organizzato, ma anche – e soprattutto – perché aveva la migliore leadership.

“[…] Questo libro è un monumento per il Partito combattente e per la SA”.

Nel libro, scritto sotto forma di diario, vengono ripercorsi, giorno dopo giorno, i momenti salienti di questo incredibile 1932. Sarebbe però un errore pensare che esso sia semplicemente una parte dei celebri diari. Confrontando, infatti, giorno per giorno i due volumi si può notare che se da un lato gli avvenimenti coincidono (ovviamente!), nella sostanza il libro che qui vi presentiamo mostra notevoli differenze rispetto ai diari. Se in questi ultimi appaiono spesso, per esempio, dei momenti più privati (vi si parla a più riprese della moglie Magda, della famiglia, si citano i nomi degli amici), nel Vom Kaiserhof zur Reichskanzlei questeparti scompaiono quasi totalmente: Goebbels cita a malapena il nome della moglie allorché cade gravemente malata alla fine del 1932, e gli stessi collaboratori del Gauleiter non appaiono più con i propri nomi, ma figurano solo come una presenza collettiva. Poiché i veri protagoni­sti di questo libro sono in realtà Adolf Hitler e il Machtergreifung. E il sogno di portare a termine la tanto agognata Rivoluzione tedesca.

Ma la narrazione non si ferma al 30 gennaio del 1933. Come dice lo stesso Goebbels:

“Il senso e lo scopo di questo libro è quello di offrire, sotto forma di diario, una sintesi di ciò che è avvenuto storicamente in Germania durante il 1932 e l’inizio del 1933. L’autore è perfettamente consapevole che non è in suo potere – e d’altronde non è neppure nelle sue intenzioni – fornire una storia sobriamente obiettiva e neutrale su questo periodo così decisivo per la Germania. Egli fu tra coloro che in passato si alza­rono, e ancora oggi sta al centro di questi avvenimenti. Egli fu chiamato a prendere parte attiva in essi. Non è mai stato nel suo temperamento, né potrebbe mai essere suo desiderio, mettersi ora a osservarli dal di fuori, dalla quiete di un’aula dottorale, considerandoli e trattandoli in maniera completamente impersonale e neutrale. Fin dagli albori, egli ha sposato questa causa e ha lottato consapevolmente, utilizzando tutte le sue gracili forze, affinché essa diventasse realtà. Chi cerca dunque in questo libro una storia raccontata in maniera ordinaria, sappia sin da ora che la ricerca è vana.

“Tutto ciò che è stato scritto in queste pagine è stato messo su carta in fretta e furia, nei pochi ritagli di tempo libero della giornata, e spesso anche di notte. È ancora permeato da quella calda eccitazione che con­dusse poi agli eventi narrati, e che entusiasmò tutti coloro che vi prese­ro parte attiva. Ed è fortemente colorato dalla passione del momento, e influenzato da essa. Nelle ore piene di preoccupazioni, che allora non s’interrompevano mai, il pensiero dell’autore andava a qualcosa di di-verso da questo, poiché pensava che in un prossimo futuro queste ore avrebbero contribuito a realizzare un’opera dedicata alla conoscenza di quel tempo che stava alle nostre spalle; un tempo che – utilizzando nel suo senso più elevato il termine ‘ouverture’ – rappresentava il secolo nascente e che conteneva nel suo stesso nucleo già tutti i temi, tutti i motivi e tutti i punti d’arrivo storici”.

Il libro si prolunga quindi fino ai primi mesi seguiti al Machtergrei­fung. L’uno dopo l’altro, si susseguono i festeggiamenti per il Cancel­lierato di Hitler, l’incendio del Reichstag del 27 febbraio, le elezioni del 5 marzo che vedono il trionfo dello NSDAP (17.277.180 voti, pari al 43,91 per cento, che portano al Partito 288 seggi), il voto del Reichstag del 23 marzo che approva la legge che conferisce a Hitler i ”pieni pote­ri”, il boicottaggio del 1° aprile contro le attività ebraiche (seguito alla campagna propagandistica contro il Nazionalsocialismo fatta all’estero con l’appoggio delle comunità ebraiche, in primis quella tedesca). Ma anche le frizioni con Gregor Strasser, fino alla sua definitiva rottura con lo NSDAP nel dicembre, e i tanti militanti caduti, come Herbert Nor­kus, il quindicenne della Hitlerjugend accoltellato a morte dai comu­nisti il 24 gennaio nel quartiere di Moabit e la cui figura ispirerà il film Hitlerjunge Quex, diretto nel 1933 da Hans Steinhoff, al 1° maggio 1933 e alle sue grandi celebrazioni, culminate con lo spettacolare raduno di massa sul Tempelhofer Feld di Berlino, il cui allestimento viene curato fin nei minimi particolari dallo stesso Goebbels, che ne fa il suo primo, colossale capolavoro di propaganda. Quel 1° maggio che rappresenta il trionfo dello NSDAP sui sindacati e sul Marxismo, poiché non è più la festa di “una parte” e non è più il simbolo della lotta (e dell’odio) di classe, ma che è stato proclamato Festa del Popolo tedesco ed è di­ventato il simbolo della ritrovata unità della nazione. Il simbolo di una Germania che si è infine “risvegliata”.

Monica Mainardi