“Istigazione”…alla lettura: Il Mito del XX secolo
Ricordando ai nostri Lettori che il Mito del XX secolo – costituito di tre libri – è stato da Thule Italia Editrice tradotto nella sua interezza pubblicando per la prima volta il II e III libro e ripubblicando il libro I, forniamo un breve passaggio che ben si collega con quanto l’Associazione Thule Italia sta pubblicando in relazione alla Grecia antica…
Dallo studio di migliaia di vasi e coppe si evidenzia un tipo razziale ricorrente che attesta chiaramente come questo fosse l’unico che potesse far nascere nel Greco l’emozione di ciò che era eroico, bello e grande.
Di contro, si è creato un contrasto razziale mostrando – per esempio – i sileni, i satiri e i centauri. Così la coppa di Fineo delle isole ioniche personifica tre forme della lascivia maschile con tutti i suoi attributi. Le teste di questo trio sono tonde e pesanti, la fronte gonfia idrocefalica, il naso corto e bulboso, le labbra arricciate all’insù.
Ciò corrisponde esattamente alla rappresentazione del sileno eseguita dal Pittore di Andocide, con l’aggiunta di folti capelli e di una lunga barba, mentre il profilo mostra una nuca spessa e carnosa. Uno stesso tipo si ritrova in Cleofrade, la cui baccante, autenticamente greca, rivela nel viso e nella forma del cranio un voluto contrasto psico-razziale.
Nicostene rappresenta il sileno ubriaco che porta con sé un otre pieno di vino tracciando una caricatura che ne evidenzia la perfetta bestialità e stupidità, mentre Eufronio ha lasciato come testimonianza una coppa sulla quale un sileno appare l’esemplificazione del tipo razziale orientale-negroide: villoso, capelluto e abbrutito. Evidenti, quindi, questi due opposti: l’agile, vigoroso e aristocratico Elleno, e il bestiale sileno, ottuso, tozzo che appartiene indubbiamente alla tipologia dello schiavo di una razza straniera sottomessa dai Greci.
La crescente infiltrazione di sangue asiatico fa in seguito apparire nella pittura delle figure che, anche da lontano, non possono nascondere i loro caratteri semiti in generale, e giudaici in particolare. Una coppa del maestro di Eos, per esempio, riproduce un mercante semita con un sacco sulle spalle; mentre sul cratere di Fineo è disegnata un’arpia – dai tratti giudaici – la cui testa e il movimento della mano sono oggi ancora visibili, in grandezza naturale, sulla Kurfurstendamm.
Migliaia di vasi e di immagini dell’Asia minore fino agli affreschi di Pompei, otto secoli dopo, attestano che la volontà artistica ed estetica faceva concepire e rappresentare un eroe o un essere demoniaco in funzione di chiari princìpi razziali.
Il progressivo imbastardimento dei Greci portò quindi alla comparsa di esseri «umani» deformi con membra flosce e teste informi. Il caos razziale di un’epoca sulla via di una progressiva democratizzazione andava di pari passo con il declino artistico. Non c’era più un’anima che potesse esprimersi, non c’era più un tipo che la incarnasse. Sopravvisse solo «l’uomo» dell’ellenismo, ovvero una creatura che non agiva più esteticamente – oltre a non esserne più capace – poiché l’anima razziale, creatrice di stile, dell’Elleno era defunta.
La degenerazione avanzò a tal punto che il biondo Acheo di Pindaro rappresentava qualcosa di unico nel Mediterraneo. All’inizio del V secolo, il trattato di fisiognomica di Adamanzio così descriveva gli Elleni: «Sono davvero alti, robusti, bianchi di pelle, mani e piedi ben strutturati, il collo vigoroso, i capelli castani, morbidi e leggermente ondulati, il viso quadrato, le labbra sottili, il naso dritto, gli occhi hanno un’espressione brillante, intensa. Sono il popolo della terra che ha gli occhi più belli».
Omero con le sue opere è altrettanto condizionato dal carattere nordico quanto l’arte plastica della Grecia. Quando Telemaco si separa da sua madre, Atena, «la figlia di Zeus dagli occhi azzurri», gli invia «un vento favorevole per gonfiare le sue vele». Quando Menelao riceve la predizione del suo destino, gli viene profetizzata una vita divina che lo condurrà «all’estremo della terra, sui campi Elisi dove abita Radamante, il biondo eroe». Anche Hölderlin non riusciva a immaginarsi il genio della Grecia senza delle «tempie circondate da riccioli d’oro». E Omero sovranamente afferma:
Poiché l’uomo risoluto conduce sempre ogni opera verso la migliore
conclusione
Anche se egli giunge da lontano come uno straniero.
Per converso, Tersite incarna il nemico dell’eroe biondo, un cupo traditore, deforme, chiara personificazione di una spia mediorientale nell’esercito greco. In un certo senso, è il predecessore dei nostri pacifisti di Berlino e Francoforte. Omero dipinge i fratelli di Tersite, i Fenici, come dei «lestofanti che portano innumerevoli frivolezze su navi sinistre». Così Omero non solo concepì un’arte legata all’anima della razza e partorì quelle immagini che più tardi saranno erette in onore della «figlia dagli occhi azzurri di Zeus» guidando il sottile pennello dei pittori, ma diede anche una forma razziale al principio antieroico straniero.
La figura tarchiata del sileno non è dunque una caricatura, come tentano di persuaderci i nostri storici dell’arte, bensì è la rappresentazione plastica delle particolarità di un’anima razziale straniera, così come appariva ai Greci. Il successivo culto fallico e i lubrici baccanali dimostrano la decomposizione post-dionisiaca causata dall’invasione razziale del tipo dell’Asia orientale in precedenza considerato stupido e limitato.
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