Ordine SS - Vol. I

Tratto dal nostro volume “Ordine SS – Etica e Ideologia”

Con un’estratto dall’opera in due volumi Ordine SS desideriamo augurare ai nostri Lettori e Lettrici un Buon Solstizio.

Quaderno delle SS n° 7. 1938

Solstizio

Il contadino camminava con passo pesante nella neve profonda. La sua alta e larga figura si stagliava, nera, sul bianco azzurrato del paesaggio invernale e sotto il cielo stellato della notte. L’uomo che lo accompagnava era secco e scarnito. Lasciava fluttuare al vento il suo mantello di pelliccia e avanzava così gagliardamente che si sarebbe detto fosse appena uscito dall’adolescenza. Il freddo pungente che aveva ipnotizzato e pietrificato la landa e la foresta non sembrava toccarlo, poiché il suo gilet era semiaperto. Di tanto in tanto con la mano sinistra si grattava la barba grigia nella quale il suo fiato si condensava in piccoli cristalli. Dietro ai due uomini, a una certa distanza, come conviene per rispetto all’età, seguiva Eid, il figlio primogenito del contadino. Lui indossava, come anche gli altri, le sue armi: la lunga spada, la daga e la lancia. Aveva messo lo scudo sulla schiena e dal suo fianco destro pendeva una tromba lavorata artisticamente, conservata da generazioni e trasmessa di padre in figlio.

Camminando, attraversarono in silenzio delle colline dove si trovavano inumati i loro avi. Là riposavano re e prìncipi che, un tempo, erano stati potenti e dei quali i cantori hanno celebrato il valore guerriero. L’anziano, scarnito, era anche lui un iniziato che errava di fattoria in fattoria narrando delle storie e che «ne sapeva più del suo breviario». Eib vide che l’uomo brizzolato, quando passava davanti a un grosso tumulo, lo salutava con la lancia. Nel corso di questa marcia solitaria, dialogava forse in segreto con i morti?

Il giovane contadino si rammentò delle storie che il commerciante dai capelli neri che veniva dal Sud aveva raccontato, qualche luna prima. Laggiù ci sarebbero dei popoli che evitavano i luoghi di soggiorno dei morti perché avevano paura dei defunti. A questo ricordo, Eib scosse la testa. Perché temere i morti visto che anche loro facevano parte del clan? I legami che uniscono le generazioni non risalivano forse così in là nel tempo che nessuno ne conosce l’origine, e non continuerebbero attraverso le generazioni future in un avvenire di cui nessuno conosce la fine? I morti non avevano forse trasmesso il loro patrimonio ai vivi come un legame sacro che imponeva rispetto?

L’uomo del Sud aveva parlato di demoni e di fantasmi, di esseri inquietanti nei corpi dei quali vivevano i morti, esseri che giocavano un gioco crudele con gli uomini, non sognando altro che nuocer loro e portargli male. La morte avrebbe così cambiato i padri che riposavano su quelle colline? Incredibile, no: impossibile, rispose il giovane contadino a quella domanda. Colui che era restato coerente con la natura nella vita non poteva cambiare nella morte. Colui che aveva lavorato per il bene e il futuro del suo clan e del suo popolo non poteva, una volta seppellite le sue ceneri nel seno della terra, diventare il nemico della sua stessa razza.

È possibile che presso i popoli del Sud, essi spaventino i vivi durante le notti solitarie. Gli uomini dai capelli neri erano di una natura così diversa, con un carattere così cupo; forse i loro morti erano diversi dai nostri. Il giovane contadino decise di interrogare a tal proposito l’anziano dai capelli grigi, che da qualche giorno era ospite di suo padre. Egli sapeva che quest’uomo così magro aveva visto molti Paesi e popoli.

I tre uomini avevano raggiunto l’altopiano centrale della landa, che era il fine del loro viaggio. La notte glaciale sembrava essersi rischiarata. I cerchi formati da massicci massi verticali si stagliavano nettamente e il contadino e il suo ospite vi si avvicinarono, fermandosi davanti al masso al centro del cerchio. Questa pietra aveva un piano secante che sembrava diretto verso un punto della volta celeste.

Con un gesto tranquillo della mano, il contadino tolse la coltre di neve che copriva la punta della pietra.

Egli sapeva che cosa fare. Non era forse venuto in questo luogo per anni con suo padre, nel momento del solstizio, sia in estate che in inverno? Si girò verso nord, avanzò tra due cerchi di pietre fino a un terzo, al centro del quale si ergevano due massi uno accanto all’altro. Tolse scrupolosamente la neve che li ricopriva come fosse un mantello e tornò verso suo padre. Nel frattempo, questi aveva ispezionato con cura il cielo stellato e si era infine girato verso sud-est, dove brillava un debole chiarore che annunciava l’alba di un nuovo giorno. Il sud divenne sempre più chiaro mentre il nord ancora dormiva nel blu più cupo.

Allora il contadino alzò la mano. «L’ora è giunta» disse solennemente. «La stella del giorno (Arktur) scende verso la Terra». Si inginocchiò dietro il menhir in modo che lo spigolo vivo della sua superficie piana non diventasse altro che una linea davanti ai suoi occhi. Questa linea sembrava passare nella stretta breccia tra i due massi dell’altro cerchio e raggiungere la chiara stella scintillante proprio al di sopra dell’orizzonte. Poi si alzò e fece posto al vecchio che, altrettanto scrupolosamente, guardò attraverso la breccia la stella che scompariva sempre più nel vapore del nord mentre il cielo si schiariva sempre più a sud.

«Hai ragione» constatò il più magro, «la stella del giorno tramonta nella direzione che annuncia la festa: tra tre giorni noi festeggeremo il culmine dell’inverno».