Quando la “comunità guerriera” si racconta
Recensione di Luca Leonello Rimbotti a “Ordine SS. Etica e Ideologia” Vol. I (Linea, 22 ottobre 2011)
Quando la “comunità guerriera” si racconta
Un piano che inglobava molteplici materie, valido per tutte le epoche passate e anche per i secoli futuri: dalle origini dell’universo alla biologia, dalla botanica alla geologia, dalla storia alla zoologia, dall’arte alle religioni.
La descrizione di una scuola di carattere e di cultura e non il brutale e fanatico braccio armato di un potere dispotico riportato dalla “storia”.
È stato appena pubblicato il primo volume del libro di Edwige Thibaut L’Ordine SS. Etica e ideologia, per i tipi dell’Editrice Thule Italia. Si tratta della traduzione italiana di un corposo studio uscito in Francia nel 1991, di cui Leon Degrelle esaminò il manoscritto prima che venisse pubblicato e a cui poi volle egli stesso aggiungere la sua ammirata prefazione. Annotiamo che del libro della Thibaut è prevista entro tempi brevi la pubblicazione anche del secondo volume dell’edizione italiana, e sempre a cura della Thule Italia. Diciamo senz’altro che siamo di fronte a un opera importante, che si segnala per il fatto – unico in questo genere di studi – di essere per la gran parte un’antologia di testi estrapolati dalle pubblicazioni SS dell’epoca. Dopo la densa e informatissima introduzione della Thibaut, infatti, si ha una numerosa scelta di articoli, rapporti, saggi brevi e testimonianze da riviste, almanacchi, pubblicazioni speciali, ma soprattutto da quei “Leithefte”, i “Quaderni”, che furono un po’ la spina dorsale dell’insegnamento ideologico delle SS, la guida spirituale e il manuale di vita, per così dire, ad uso degli adepti. La formazione politica delle giovani SS, infatti, oltre ai corsi sulle più varie materie di studio che si tenevano nell’ambito dello Schulungsamt (l’Ufficio educativo) che faceva parte del RuSHA (l’Ufficio per la Razza e l’Insediamento guidato fino al 1938 da Walter Darrè), verteva sulla diffusione di questi quaderni divulgativi, attraverso i quali ci si riprometteva di attuare l’insegnamento di una corretta Weltanschauung, senza inutili pedanterie, ma con l’abituale puntigliosità tedesca. Ma, oltre al sapere, alla fase cioè dell’istruzione e della preparazione ideologica, ci si occupava anche dell’educazione, vale a dire della formazione del carattere e della personalità delle reclute.
Il libro della Thibaut. insomma, con questa inedita scelta antologica, si presenta come uno strumento di apprendimento dall’interno dei percorsi attraverso i quali il famoso uomo nuovo perseguito dal Nazionalsocialismo si veniva quotidianamente formando. Veniamo in altre parole informati direttamente, e senza interpretazioni o suggerimenti postumi, su quale fosse il punto di vista di un privilegiato osservatorio del Terzo Reich su tutti gli aspetti della vita, anche al di là dell’impegno politico. Ciò che si presenta. per quanto è di nostra conoscenza, come l’unica possibilità di accedere, da parte di specialisti come di semplici lettori, a un fondo storiografico di grande rilievo e altrimenti inaccessibile.
Per la verità, dalla lettura di questa vasta documentazione esce un’immagine delle SS che è un po’diversa da quella usuale: non il brutale e fanatico braccio armato di un potere dispotico, bensì una scuola di carattere e di cultura. La volontà di forgiare il “soldato politico” inserito nella moderna società di massa metteva i giovani frequentatori della scuola SS a contatto con ogni branca del sapere. La Thibaut riporta la direttiva emanata da Himmler nel marzo 1938, in base alla quale si intendeva dar corso a «un piano che inglobi molteplici materie e che possa essere valido per tutte le epoche e anche per i secoli futuri», includendo nulla di meno deli intero scibile umano, dalle origini dell’universo alla biologia, dalla botanica alla geologia, dalla storia alla zoologia, dall’arte alle grandi religioni… «Le SS di oggi come quelle dell’anno 2000» concludeva il Reichsführer in questa molto significativa indicazione di massima. «avranno familiarità con la storia del nostro popolo, di tutti gli Ariani, della Terra con la sua grandezza e bellezza, così come quella del mondo intero e prenderanno coscienza della grandezza e della onnipotenza di Dio». E, in effetti, le SS espressero tutto un mondo di ricerca e specializzazione culturale che. dalla Fondazione Ahnenerbe all’SD (l’Ufficio di sicurezza che aveva numerose sezioni), dette vita a una gran quantità di iniziative culturali, pubblicazioni, studi sulle materie più varie e talora anche bizzarre, dalla teoria del “ghiaccio cosmico” alla rivalutazione del nodo storico e culturale delle “streghe “, dallo studio delle erbe medicinali a quello dell’astrologia. Era un mondo davvero affamato di cultura, di quella alta come di quella popolare: «Tutti i campi della vita erano soggetti a insegnamento», scrive la Thibaut, «ci si aspettava che la conoscenza della bellezza, del valore e dell’importanza della missione per la quale ogni singola SS combatteva, l’avrebbe spinta verso le più grandi prodezze militari». Entro questi spazi educativi procedeva poi l’istruzione ideologico-politica e militare, che si esprimeva in apposite scuole per cadetti (le Junkerschulen) che si affiancavano alle cellule femminili, attraverso le quali l’Ordine Nero intendeva promuovere lo spirito di una vera e propria “comunità di clan”, cioè la formazione di nuclei familiari SS. Questo “Ordine clanico” promuoveva un sapere e uno stile di vita che oggi definiremmo “olistico”, cioè completo e totale, tale da investire gli aspetti fisici come quelli spirituali della personalità. Così facendo, come precisa la Thibaut. «veniva a formarsi quell’unità armoniosa che Rosenberg stesso definì: “la razza è l’anima vista dall’esterno e l’anima è la razza vista dall’interno”… Le SS accordarono il carattere militare con la fede, l’arte con la scienza, l’industria all’agricoltura, nell’alchimia suprema dell’Uomo nuovo». Le strutture SS. in quanto anti-classiste e portatrici di una concezione organica della comunità, a questo inedito soggetto fornivano occasione di promozione sociale e di formazione di competenza, aldi là dei vecchi steccati di classe, tanto che si potevano vedere «degli uomini di una trentina di anni arrivare al grado di generale e “civili” dal talento incontestabile, come Werner von Braun o il professor Porsche, diventare “ufficiali” delle SS».
E in questo modo che, nell’originale struttura delle SS, prese vita quasi un mondo parallelo, creandosi un complesso di attitudini che, in effetti, riguardarono i diversi aspetti dell’esistenza secondo vie inusuali. Una “rivoluzione dei corpi e degli spiriti”, si è detto il tentativo SS di dar vita veramente, entro istituzioni a metà strada fra l’ordine monastico e il reparto militare, a un tipo nuovo e più affinato di uomo. Struttura autonoma rispetto alle altre istituzioni dello Stato nazionalsocialista, in possesso quasi di uno statuto di privilegiata indipendenza, le SS, che nello scorrere degli anni diventarono anche una potenza economica proprietaria di concentrazioni industriali non trascurabili, rinnovarono la tradizionale sensibilità della civiltà germanica verso la comunità popolare, inaugurando una diversa e più radicale visione del mondo: «Indipendenti dall’esercito, crearono un nuovo “atteggiamento guerriero”, distinti dal Partito, un nuovo “atteggiamento ideologico” e, lontani dalla Chiesa, un nuovo “atteggiamento spirituale”». Degrelle aggiungeva nella sua prefazione che, in tal modo, «l’equilibrio, anche là, si sarebbe ottenuto tra un paganesimo storico che alcuni intendevano resuscitare e la vita mistica». Le SS ebbero consapevolezza di rappresentare una sorta di rivoluzione spirituale, e di questo troviamo ripetuta traccia nelle loro pubblicazioni. Ad esempio, nel ricostruire il legame dell’uomo con la natura, rinsanguando le antiche vene di panteismo, rafforzando i riti di legame, le cerimonie popolari riferite ai cicli astrali, i solstizi, le feste di Ostara e di Jul, etc. si intendeva operare una profonda correzione della tendenza moderna verso la laicizzazione profana e l’oscuramento del sacro. Con risvolti minori, ma non tanto, che sono significativi di un approccio sereno e per nulla torbido o ambiguo agli aspetti della vita, e a volte anche mollo attuali. Come la ben nota spinta ecologista, che traspare da interventi intitolati., ad esempio. “La foresta come comunità di vita”. O come un articolo del 1941, in cui si raccomanda l’uso dell’acqua minerale di una certa sorgente sudeta priva di additivi artificiali, vantandone i poteri curativi; oppure come un pezzo del 1937 a firma di Gunther d’Alquen (nome di punta delle SS, redattore-capo della rivista “Das Schwarze Korps”), in cui si elogia lo spirito intimistico e si definisce l’umorismo una necessità e una virtù, aggiungendo che era stato addirittura «una delle armi essenziali nella lotta per la presa del potere». Sfogliando i numerosi articoli raccolti dalla Thibaut. corredati spesso da foto dell’epoca, invano si troverebbero i bolsi richiami “satanisti” oppure “occultistici” che oggi vanno tanto di moda nella generale paccottiglia ad alta tiratura che si occupa delle SS: tutto all’opposto, ciò che domina è uno spirito positivo, volti aperti e allegri, e una grande fiducia nel futuro.
Poi ci sono i temi-forti dell’ideologia rivoluzionaria. Tra questi, un posto di rilievo è occupato dall’europeismo.
Un ideale dalle SS non solo vagheggiato, ma messo in pratica attraverso il combattimento, e per il quale presero le armi molti volontari di quasi tutti i Paesi d’Europa, arruolatisi sotto le insegne della doppia runa. Tanti popoli affini, stretti attorno al grande magnete centrale, la Germania, polo d’attrazione delle patrie europee: questo il nòcciolo della nuova idea di Impero. Un giovane collaboratore olandese, in un numero dei “Leitheft” del 1943, scriveva che «la parola solidarietà è adatta all’Europa. Questa forma un tutto, ha dei nemici comuni, non può esistere fino a quando non si manifesti un sentimento di coesione e fino a quando essa non inizi a diventare solidale». Ammettiamolo: una bella lezione di vero europeismo popolare impartita, a distanza di quasi settantanni, a quella cosca di usurai cosmopoliti che usurpa oggi il nome d’Europa.