Il «libro segreto»… tale, ancora oggi, per molti.
Il «libro segreto»… tale, ancora oggi, per molti.
Occorre leggere il libro del prof. Renzo De Felice – Mussolini e Hitler, I rapporti segreti 1922-1933, Laterza, 2013 – per trovare molto più di un accenno a quello che veniva chiamato il Libro segreto di Adolf Hitler. Quest’ultimo rappresenta una fonte documentale di primaria importanza, tanto da indurre uno dei maggiori storici a riportarne un lungo stralcio. Testo pubblicato dalla Longanesi – e subito scomparso dalla circolazione -, è stato, attingendo per verifica all’originale tedesco, pubblicato con il titolo Politica nazionalsocialista. Oltre il Mein Kampf dalla Thule Italia Editrice. Ciò a dimostrazione, se mai servisse, della necessità del nostro intento per rendere accessibile a tutti – e non solo agli specialisti o a chi si serve delle fonti per manipolare la Storia– del materiale documentale fondamentale per una conoscenza seria e severa.
Riportiamo, quindi, il contesto in cui il prof. De Felice cita e poi riporta il Libro segreto di Adolf Hitler, ovvero Politica nazionalsocialista. Oltre il Mein Kampf.
***
IV
1924-1930: HITLER E L’ITALIA
Allo stato delle fonti è impossibile stabilire con precisione quando ripresero i contatti tra il fascismo ed Hitler. Ciò che si può affermare è che tornato in libertà ed accintosi a ricostruire il partito (fine ’24-primi 25) Hitler si dette subito cura di cercare di liquidare le tendenze italo-fobe assai diffuse tra i suoi seguaci e, soprattutto, a far loro accettare il suo punto di vista che gli alto-atesini non valevano l’inimicizia con l’Italia. E su questa linea si mantenne – nonostante le difficoltà che essa gli procurava, al punto di esporlo alle accuse più violente di «tradimento» e di essersi «venduto» all’Italia – anche nel ’26 quando in Germania l’agitazione degli animi e le polemiche contro la politica di italianizzazione forzata dell’Alto Adige di Mussolini toccò il suo apice e interessò tutte le formazioni di destra.
Dietro questo atteggiamento di Hitler vi erano certamente considerazioni di ordine tattico, strumentali (assicurarsi l’amicizia e possibilmente l’aiuto fascista) e, probabilmente, esso era influenzato da alcuni amici e compagni di partito del «Führer» che, dopo il fallito putsch di Monaco, si erano rifugiati in Italia e avevano avuto contatti con elementi fascisti (Göring per esempio). In sostanza, però, si può dire che esso corrispondeva bene alla convinzione di Hitler che Germania ed Italia non avevano motivi di contrasto (una essendo una potenza continentale e l’altra una potenza mediterranea), mentre avevano un nemico comune, la Francia, e che, pertanto, fossero storicamente destinate a collaborare e che la questione dell’Alto Adige non dovesse impedire questa collaborazione (più intransigente Hitler era invece sulla questione dell’Anschluss, che, a suo dire, l’Italia sbagliava ad osteggiare, dato che, così facendo, si precludeva la possibilità «di interrompere il sistema francese di alleanze in Europa»).
Queste convinzioni Hitler le espresse nel maggio e nel dicembre 1927 all’addetto stampa italiano a Berlino. Anche più importante è però il fatto che egli le esponesse ampiamente sia nel Mein Kampf (che aveva cominciato a preparare in carcere e che venne pubblicato nel 1925-26), sia nel cosiddetto «Libro segreto di Adolfo Hitler» (scritto nel 1928 e rimasto inedito sino al secondo dopoguerra), sia in un opuscolo dal titolo Die südtiroler Frage und das deutsche Bùndnisproblem (del 1926), sia in una serie di pubblici discorsi, che non trovarono consenzienti neppure tutti i nazionalsocialisti e che gli procurarono violenti attacchi da parte di larghi settori della destra; soprattutto da quelli più accesamente pangermanisti e collegati con il movimento irredentista sudtirolese e ai quali egli replicò tacciando coloro che lo accusavano di «tradimento» e di essersi messo al soldo dei fascisti di essere essi, consapevolmente o no, strumenti dei marxisti e degli ebrei nemici della Germania.
Con il 1928 Hitler cominciò altresì, direttamente e attraverso alcuni intermediari, a premere presso l’ambasciata italiana a Berlino e a Roma per ottenere la possibilità di avere un incontro con Mussolini (di un invito di questi ad Hitler nel 1925 si è più volte parlato, ma la notizia è sicuramente o falsa o frutto di confusione con l’«invito» del 1928). A queste avances la risposta di Mussolini fu per il momento però assai cauta. Ufficialmente comunicò di essere disposto a ricevere Hitler. L’incontro era però rimandato «ad epoca da stabilirsi», «comunque dopo le elezioni tedesche». «Un colloquio prima – telegrafò al console a Monaco il 19 maggio ’28 – non gioverebbe se non agli avversari di Hitler». In pratica con questa formula «diplomatica», non respinse l’avance, ma ne rinviò sine die la pratica realizzazione, in attesa che la situazione interna tedesca si chiarisse meglio ed egli si potesse fare una idea più precisa del peso reale che in essa aveva il nazionalsocialismo. Alle elezioni del ’28 Hitler raccolse 809 mila voti (quasi centomila in meno della volta precedente) su 29 milioni e mezzo ed ebbe 12 deputati. Troppo pochi per poter essere considerato una forza reale. Stando così le cose, per Mussolini egli poteva essere preso in considerazione solo a livello della politica altoatesina: per contrapporlo in loco alle tendenze più accesamente irredentistiche e, più in generale, per rompere l’unità dello schieramento pangermanistico e per cercare di indurre le altre forze tedesche di destra a lasciar cadere la polemica per l’Alto Adige per non essere scavalcate dai nazionalsocialisti nei rapporti con Roma. Né, per quel che riguarda una eventuale utilizzazione della carta hitleriana ad un livello più alto, di «grande politica», va sottovalutato il fatto che ad essa ostava – oltre all’intrinseca debolezza del nazionalsocialismo – la presenza a palazzo Chigi di uomini che si rendevano conto di cosa avrebbe significato (anche se egli avesse continuato a «disinteressarsi» dell’Alto Adige) il realizzarsi della prospettiva revanchista e pangermanista di Hitler. Sicché per il momento questo dovette accontentarsi di un non impegnativo incontro segreto in Baviera (a Nynphenburg, in casa dell’italiano Roberto De Fiori) con il senatore Ettore Tolomei, un trentino acceso fautore della politica di italianizzazione dell’Alto Adige. Nel corso dell’incontro, che ebbe luogo a metà agosto del 1928, Hitler riconfermò il suo «disinteresse» per l’Alto Adige e la sua convinzione che Italia e Germania dovessero trovare una intesa (ma lasciò intendere di essere convinto che all’Anschluss ci si sarebbe inevitabilmente arrivati, «a meno – disse – che non vogliate assecondare il recondito pensiero della Francia, che, opponendosi all’Anschluss, lo fa unicamente per indurre l’Austria ad entrare propter vitam vivendomi nella Piccola Intesa»); non ottenne però in cambio nessun impegno di aiuti.
Questa cautela di Mussolini è confermata dall’atteggiamento della stampa fascista del tempo. Sino al 1927 si può dire che essa sia ancora sotto l’impressione del fallimento del putsch di Monaco e non mostri alcuna reale simpatia per il nazionalsocialismo. Tipico in questo senso è l’articolo di O. Randi, Il fascismo bavarese, in Critica fascista del 1° febbraio 1926, nel quale, tra l’altro è sottolineato il fatto che Hitler si circondava di avventurieri e di militari politicamente incapaci. Il risultato delle elezioni tedesche del 1928 mitigò ma non modificò nella sostanza questo atteggiamento. Pochi furono i giornali che si indussero a seguire con maggiore attenzione le vicende politiche ed organizzative del partito di Hitler. Quanto ai risultati elettorali conseguiti dai nazionalsocialisti, essi vennero in genere valutati freddamente e senza entusiasmo; né mancò chi sottolineò come essi avessero marcato un regresso del consenso verso Hitler. Se, parlando della situazione tedesca, l’accento fu posto su qualcosa, fu soprattutto sulla sua instabilità e insostenibilità; da cui – si diceva – la Germania sarebbe potuta uscire probabilmente solo attraverso un colpo di stato. Scorrendo la stampa fascista, si ha pero l’impressione che, nel caso di un colpo di stato di destra, essa pensasse più allo Stahlhelm o ai tedesco nazionali che non ai nazionalsocialisti. In questa prospettiva generale significativi, per esempio, sono gli articoli di A. Signoretti, L’irraggiungibile coalizione in Germania, e di A. Spaini, Il labirinto tedesco, entrambi in Gerarchia, aprile e agosto 1929. Nel secondo articolo (che suscitò vivaci proteste da parte nazionalsocialista) è significativo in particolare che l’autore: a) mostri nel complesso scarsa considerazione per la sensibilità politica delle destre tedesche; b) insinui l’idea che «il fascismo tedesco» più che «essere un tentativo del popolo tedesco di rinnovarsi» sia «una semplice estensione delle società nazionaliste, un organo di propaganda della révanche»; c) che, in pratica, non consideri fascista nessuna formazione, non il «cosiddetto fascismo» dello Stahlhelm e tanto meno lo «pseudo fascismo» di Hitler, ricordato per di più quasi en passant e posto in una posizione nettamente meno importante di quelle assegnate ai tedesco nazionali e allo Stahlhelm.
Sempre a livello di stampa, qualche sintomo di una certa tendenza a considerare il nazionalsocialismo con occhi più benevoli si può cogliere con la metà del 1929. In questa prospettiva possono vedersi un breve articolo apparso su 11 popolo d’Italia dell’8 agosto 1929 e soprattutto l’ospitalità data su Gerarchia del dicembre dello stesso anno ad uno scritto, La Germania e Hitler, di G. von Schwochau (in larga parte informativo, ma in cui, riprendendo in parte II popolo d’Italia, si accennava alla «somiglianza» tra fascismo e nazionalsocialismo e le «differenze» erano attribuite a ragioni tattiche ed ambientali). Questo inizio di mutamento di atteggiamento si può ritenere sia stato determinato dal fatto che proprio nell’estate del 1929 i nazionalsocialisti erano stati accolti, con i tedesco nazionali e con lo Stahlhelm, nel cosiddetto «Comitato del Reich» di Hugenberg; il che equivaleva ad un riconoscimento del loro ruolo politico e ad una sorta di «cittadinanza» tra le formazioni più autorevoli della destra. Tutt’altro che da escludere è però anche che esso fosse in diretta connessione con l’interesse che in quello stesso periodo anche palazzo Chigi e Mussolini cominciavano a mostrare per Hider e per il suo partito. La migliore testimonianza – allo stato della documentazione – di questo interesse è offerta dal moltiplicarsi con la seconda metà del ’29 e soprattutto durante la prima metà del ’30, via via che si avvicinavano le nuove elezioni generali, dei contatti tra uomini politici (abbiamo ricordato il caso di Federzoni), diplomatici e agenti italiani con Hitler e i suoi principali collaboratori (Göring soprattutto). Di molti di questi contatti manca la relativa documentazione; ciò nonostante, quella che ci è pervenuta è di per sé sufficiente a dimostrare il «salto» di intensità e di qualità che col ’29-’30 vi fu nelle relazioni tra fascismo e nazionalsocialismo, anche se da essa risulta pur chiaro che sino alle elezioni del 14 settembre ’30 questo interesse non modificò sostanzialmente la valutazione complessiva che a Roma si doveva dare di Hitler e del suo partito, non portò ad un suo privilegiamento rispetto alle altre formazioni della destra tedesca e – ciò che più conta – non dissipò i dubbi e le diffidenze che i più tra i responsabili della politica fascista nutrivano su di essi.