Di
una presumibile residenza originaria della razza nordica ci sono oggi
conosciuti e rimasti territori periferici, come l’Islanda, la Groenlandia, la
Terra di Grinell e le Spitzbergen. Noi sappiamo, però, che queste albergarono
un tempo una ricca flora, che può essere germinata già in un primo periodo
terziario. Così nella terra di Grinell, situata ad 81° 45’ di latitudine nord,
dieci specie di conifere, tra cui l’abete rosso e due pini selvatici; una
specie di tasso; l’olmo, il tiglio, due specie di noccioli con una ‘palla di
neve’, la macchia di cespugli. Nel lago d’acqua dolce viveva una ninfea e la
riva era rivestita da carici e canne palustri. Ci viene incontro quindi in
questa parte estrema del mondo una flora,
che corrisponde al massimo con quella della parte nordica della zona temperata e
che richiede una temperatura media annua di almeno + 8°, mentre questa
attualmente sta colà a 20 ° sottozero. Più in prossimità vi si accompagna la
flora delle Spitzbergen. Anche qui predominano le conifere, una gran quantità
di pinastri, di abeti rossi, di abeti bianchi. Tra gli alberi frondiferi, a
foglia latiforme si trovano pioppi, salici, ontani, betulle e faggi, querce,
una specie di platano, di albero della seta, di noce, due specie di magnolie e
quattro di aceri. Tre specie di ‘palle di neve’, molte di biancospino e di
giuggiola formavano col nocciolo la macchia di cespugli. Nel lago di acqua
dolce appare di nuovo la ninfea artica, un erba coclearia per i girini di rana
ed una per le uova di Salmone, cui si associano molte canne palustri e
giaggioli. La flora fossile della Groenlandia settentrionale, che indica un
clima quale noi troviamo attualmente nei dintorni del lago di Ginevra, ad es.
presso Montreux, con una temperatura annuale di 10°, ha un’apparenza alquanto
più meridionale. Oggi la stessa regione giace a circa 70° di latitudine nord
(1). La spiegazione per il violento dislocamento climatico in questa zona è
data dallo spostamento del Polo nel Terziario e nel Quaternario. La carta
riprodotta (fig. 1) secondo Köppen e
Wegener (2) rende chiara la situazione e la migrazione del Polo Nord riferito
all’Europa. Dall’esistenza delle menzionate specie di piante e di una serie di
reperti geologici ed altri reperti di storia naturale risulta per la Terra di
Grinell una situazione di allora al di sotto dei 42°, per le Spitzbergen sotto
i 40° e per la Groenlandia occidentale
(Disco) sotto 30° di latitudine. Riguardo a ciò va considerato che nel
Terziario ed anche all’inizio del Quaternario i continenti dell’America del
Nord e del Nord Europa erano ancora direttamente uniti. La separazione può
essersi effettuata soltanto all’incirca al tempo della principale glaciazione,
allorché il continente sudamericano già da milioni di anni nel periodo cretaceo
si era staccato da quello africano ed era stato allontanato verso ovest. Nella
cartina della fig. 1 va quindi osservato che il reticolo delle coordinate
geografiche e le posizioni del Polo sono riferite all’Europa, ma che l’America durante la maggior parte
del tempo era situata più ad ovest ed a nord di adesso. Un crepaccio
biforcantesi presso la Groenlandia
spezzava il collegamento europeo e quello nordamericano, che esisteva ancora da
Terranova oppure dall’Irlanda verso il nord. Le zone di separazione anche qui
si spostavano sempre di nuovo le une dalle altre. Mentre la lingua di terra tra
Terranova e l’Irlanda si spezzò solo all’inizio del Quaternario, più a nord
sembra sia sussistita un’ulteriore, seconda lingua che si staccò certo solo
prima della metà del Quaternario (3)
.
I
motivi di questo sino ad oggi perdurante spostamento dei continenti dovrebbero
essere stati completamente chiariti attraverso la “teoria del dislocamento”,
come Wegener l’ha fondata nella sua Entstehung
der Kontinente und Ozeane. Lo spostamento delle singole zolle continentali,
la migrazione dei poli di rotazione e degli alti e bassi della superficie
terrestre sotto il livello del mare con essi connesse, furono la fatalità
geologica che irruppe improvvisamente sulla patria originaria della razza
nordica, che annientò o cacciò la sua popolazione, disperdendola tutt’intorno
sulla Terra. La sopra effettuata ricerca delle razze e culture paleolitiche del
Quaternario aveva portato all’ammissione di una dimora originaria della razza
nordica nell’attuale regione artica. Da ciò derivò che la formazione della
razza nordica stessa dovette essere spostata prima della glaciazione, cioè del
Terziario. Se queste conclusioni sono esatte, allora la tremenda esperienza
dell’avvicinamento e dell’irruzione dell’eterno inverno deve aver prodotto
un’impressione per sempre incancellabile sugli abitanti di quella fascia di
terra. La tradizione di tale catastrofe mondiale deve essersi mantenuta per
millenni attraverso tutte le generazioni, come la leggenda del diluvio
gondvanico nell’intera cerchia della regione oceanico-indonesiana e dell’Asia
Minore. Dunque, dobbiamo imbatterci ovunque nelle più antiche tradizioni dei
popoli di razza nordica sulle tracce di quella tragedia di tempi remoti dei
loro antenati. Nel mito a loro comune di una fine del mondo deve anche
comparire, quale fine del mondo, il ritorno dell’eterno inverno. Ma non
soltanto ciò – si devono anche trovare immediate tradizioni di quel
terrificante evento, che ci sappiano riferire qualcosa, anche se oscurato, sui
particolari. Se noi esaminiamo le più antiche fonti scritte a noi conservate
della cultura precristiana del Nord germanico, l’antica e la nuova Edda, allora l’eterno inverno ci si fa
incontro più volte quale fine del mondo. Ovunque risuona come motivo di fondo
il lontano ricordo di un avvenimento, che già una volta dev’essere accaduto in
una remota preistoria:
“Sale il mare in tempesta sino al cielo,
le terre inghiottite, l’aria è fatta gelida,
masse di neve porta l’aspro vento,
frena la pioggia la Ruota del Fato”.
(Hyndluljòth,
44)
Nel Vafthrùdhnismàl, 44,
Odino chiede a Wafthrùdhnir:
“Chi degli uomini mai vivo sarà
quando il possente inverno sulla Terra
alfin terminerà?”
Così
anche il Fimbulvetr nel Gylfaginning, 51, è descritto quale
introduzione al Ragnarök: “Cose grandi ci sono da narrare e molte. E per prima
che un inverno verrà, chiamato Fimbulvetr,
il grande inverno, allora turbinerà la neve da tutti i punti cardinali, il gelo
sarà grandissimo e aspri i venti. Il sole non avrà più forza. Tre inverni si
seguiranno e fra essi non vi sarà estate. Ma ad essi precederanno tre altri
inverni…” (4). Nell’Avesta ci è però
conservata nel Vendidad, I, 1-3, una
immediata tradizione della terribile disgrazia della razza nordica e della sua
dimora originaria. Si tratta del luogo in cui Dio (Ahura Mazda) parla a
Zarathustra della creazione di quella madrepatria della razza nordica, chiara o
cosiddetta ariana, Airyana Vaejah (Vaejah – “seme”), il paradiso degli
Arii. D’altra parte Angra Mainya, lo Spirito Maligno, creò quale
contro-creazione la rovina, che da esso sempre di nuovo in una nuova forma
viene mandata ad ogni nuova patria, che Ahura Mazda dona al popolo degli Arii
nella sua ulteriore migrazione.
“1.
Disse Ahura Mazda allo Spitama Zarathustra:
2.
Quale ottimo fra i posti ed i luoghi, io Ahura Mazda, creai l’ariano Vaejah della buona Daitya; ma lui (Vaejah) creò quale piaga nazionale il
molto pernicioso Angra Mainya, il
serpente rossiccio e l’inverno opera
dei demoni.
3.
Là vi sono 10 mesi invernali, solo 2 mesi estivi, ed anche questi troppo
freddi per l’acqua, troppo freddi per la terra, troppo freddi per la pianta; ed
è il Centro dell’inverno e il Cuore dell’inverno; poi, quando
l’inverno volge al termine, vi sono qui molte alluvioni”.
Di
grande importanza è l’ora accennata relazione dell’inverno col serpente. Come
si vedrà in seguito, il simbolo del serpente invernale rossastro garantisce
l’alta età della tradizione dell’Avesta,
che – significativamente – coincide esattamente con le ancor oggi conservate
tradizioni simbolico-culturali degli Indiani nord-americani. Che prima di
questo inverno di Fimbul regnassero nell’Airyana
Vaejah altre condizioni climatiche, sa riferire ancora Bundahish, XXV, 10-14: “Dal giornodi Ahuramazd (primo giorno) di Avanu
l’inverno acquista forza e viene nel mondo e… dal giorno Ataro del mese Din compreso (9° giorno del 10° mese) viene con gran freddo verso Airyana Vaejah; nel mese di Spendarmad compresi (i 5 epagomeni) fino
alla fine (dello stesso e a un tempo dell’anno) l’inverno sopraggiunge in tutta
la Terra. Perciò nel giorno Ataro del Din si accendono ovunque fuochiper indicare che l’inverno è
venuto”. I cinque mesi d’inverno in questo passo vengono anche espressamente
esposti: Avan, Ataro, Din, Vohuman e Spendarmad. Altrove (XXV, 7) è detto che
dal giorno di Auharmazd (il primo)
del mese Farvardin compreso fino al
giorno di Aniran (l’ultimo) del mese
di Mitera vi sono sette mesi
d’estate. Per il tempo più tardo e quello contemporaneo (Bundahish, XXV, 20) dodici mesi e quattro stagioni, e l’inverno
comprendeva solo gli ultimi tre mesi dell’anno: Din, Vohuman, Spendarmad. Questa è una tradizione che è
abbondantemente confermata dai reperti del Magdaleniano. Il II Fargard del Vendidad mostra ora il tempo dell’irruzione di quel terribile
inverno, allorché il “bello Yma, possessore di buoni armenti”, il “germe di Vivahvant” regnava sul Vaejah ariano. Ahura Mazda lo aveva
esortato a mantenere e custodire la sua religione (II, 3), il che fu
recisamente respinto da Yma: “Io non sono fatto, non sono istruito a mantenere
e proteggere la religione”. Quindi Ahura Mazda gli avrebbe così parlato: “Allora
aiuta il mio mondo a progredire, accresci il mio mondo, allora devi metterti a
mia disposizione quale protettore e custode e sorvegliante del mondo”. Ciò fa
Yma e ottiene da Ahura Mazda i due poteri, la freccia d’oro e la frusta ornata
d’oro: lo strale luminoso (5), il simbolo del figlio di Dio, al cui contatto la
Terra si apre e si dilata, e la frusta, originariamente il ramo a tre parti, il
segno “uomo”, la “verga della vita”, della fede atlantico-nordica nella luce
divina.
“8. E nel regno di Yma trascorsero trecento
inverni. Dopo di che la Terra qui gli divenne piena di bestiame minuto e grosso
e uomini e cani e uccelli e di rossi fuochi fiammeggianti: non trovarono più
posto bestiame minuto e grosso né uomini”.
“10. Allora Yma andò verso la
luce al meriggio, incontro al sentiero del Sole: questo scorticò la Terra colla
freccia d’oro; strisciò su di lei con la frusta, così parlando: ‘Cara santa
Armatay! Va avanti e spanditi per poter portare bestiame minuto e grosso e
uomini”.
La Terra qui si espande,
sì da diventare di un terzo più grande di
prima.
Ancora due volte avviene una simile espansione dell’impero ariano. Poi
“il
raggiante Yma, possessore di begli armenti con i migliori uomini nel Vaejah ariano” organizza un’assemblea su
ordine del Creatore Ahura Mazda.
“22. E disse Ahura Mazda a Yma:
‘O bello Yma, germe di Vivahvant!
Sulla materiale e cattiva umanità devono venire gli inverni e in conseguenza di
ciò dapprima la nuvolaglia farà nevicare masse di neve dai monti più alti fino
a profondità (quali li ha) l’Aretvi.
23. E (solo) un terzo del
bestiame, o Yma, salverà poi la vita (da tutto) ciò che vi è di più fruttifero
nei vari luoghi, e ciò che è sulle altezze delle montagne, e ciò che nelle
valli dei fiumi si trova di robusti edifici.
24. Prima dell’inverno questo
paese usava portare pascoli d’erbe; più tardi allo scioglimento delle nevi
devono scorrere masse d’acqua e apparirà inaccessibile, o Yma, al mondo
naturale colà dove si può vedere il passo delle pecore.
25. Prepara quindi il castello,
lungo un Caratav verso ognuno dei
quattro lati; proprio qui raduna il seme del bestiame minuto e di quello grosso
e uomini e cani e uccelli e di rossi fuochi lucenti. Predisponi poi il
castello, lungo un Caratav verso
ognuno dei quattro lati, quale stalla per le bestie.
26. In questo stesso luogo
lascia che l’acqua continui a scorrere per una via della larghezza di una hetra e proprio lì disponi dei prati. In
quello stesso luogo disponi case e cantine e vestibolo e bastia e
circonvallazione.
27. Proprio in quel luogo porta
il seme di tutti gli uomini e le donne, che siano i più grandi e i migliori e
più belli di questa Terra. In quello stesso luogo porta assieme il seme di
tutti i generi animali che siano i più grandi e i migliori e più belli di questa
Terra.
28. Proprio là raduna il seme di
tutte (le) piante, che siano le più alte e più profumate di questa Terra.
Proprio là raduna il seme di tutte (le) vivande, che siano le più gustose e
profumate della Terra. (Tutti) questi a due a due rendili inesauribili, finché
gli uomini staranno nel castello.
29. Non (devono) poter (venire)
là dentro (difetti, imperfezioni, vizi) come: la gobba al petto, la gobba sulla
schiena, il latte materno, non la curvatura del corpo, non la deformazione
dentaria, non la lebbra, con cui è collegata la separazione (isolamento) delle
persone (colpite); e non (altre) piaghe, che sono un contrassegno di Angra
Mainyav, (che) è introdotto nell’uomo.
30. Nella maggior parte del
territorio fa’ nove passaggi, nella intermedia sei, nella più piccola tre. Nei
passaggi della (divisione) più grande raduna il seme di mille uomini e donne,
in (quelli) della intermedia di seicento, in (quelli della) più piccola di
trecento; e segnala (i passaggi) con lo strale d’oro e applica al castello un
portale luminoso, di luminosità propria (dal di dentro)”.
Yma opera dunque secondo il
comando di Ahura Mazda e installa la Vara,
la circonvallazione o fortezza, per preservare il seme dei migliori uomini,
animali e piante dalla distruzione, che l’infausto inverno doveva portare sul
felice paese.
“38. Ed egli segnò i passaggi (della fortezza) con
lo strale d’oro ed appose alla fortezza una porta luminosa, di luminosità
interiore”.
In questo passo del Vendidad Zarathustra chiede ad Ahura
Mazda:
“39. O creatore del mondo
materiale, degno degli asa! Quali
candelabri sono quelli, o Ahura Mazda degno degli asa, che là risplendono nella fortezza, che edificò Yma?
40. Allora disse Ahura Mazda:
‘Sono candelabri eterni e passeggeri. Solo
(una volta all’anno) si vedono sorgere e tramontare Sole e Luna e stelle.
41. E gli (abitanti) considerano un giorno, ciò che invece è un anno”.
Per la soluzione della nostra
questione sull’origine e la patria della razza nordica, questo passo del Vendidad 2, 40-41, è della massima
importanza. Gli abitatori della Vara che vengono salvati dall’inverno di Fimbul sono gli uomini eletti, vedono solo “una volta all’anno” sorgere e tramontare
il Sole, la Luna e le stelle; e considerano un giorno quello che è un anno.
La corsa celeste delle
costellazioni qui così chiaramente descritta riserva un’unica possibilità per
la determinazione del luogo di osservazione: questa può essere avvenuta solo
nella regione artica.
Ancora una volta vogliamo
richiamare alla mente il corso degli astri, così come lo stesso si offre allo
sguardo dell’uomo artico. Per tutti i popoli della razza nordica il nord è la direzione sacra, secondo cui
essi si orientavano. Colà è la sede di Dio, il punto di rotazione
dell’orientamento del mondo, dal quale discende il diritto, la direzione
celeste dell’imperscrutabile eternità.
L’indicazione, comune a tutti i
popoli indoeuropei, della stella Polare come “stella guida” si richiama ad
un’antichissima tradizione: antico nordico leidarstjarna
(propriamente “stella del cammino”, da leid,
“cammino”), anglosassone ladsteorra,
inglese loadstar, lodestar, “stella Polare”, medio basso
tedesco leiderstern, olandese leidstar, medio alto tedesco leitstern, nuovo alto tedesco Leitstern. Nel più antico danese si
trova qui anche leding, medio b.ted. ledinge, angl. Scipsteorre (stella delle navi), inglese più antico steering star, “stella del timone”. Dopo
la scoperta della bussola, l’antico nordico leidarsteinn,
ingl. Loadstone, lodestone, fu formato come nome per “magnete” (6). Dalle più
antiche rappresentazioni della rosa dei venti, delle direzioni celesti della
bussola, il nord viene sempre riprodotto attraverso il giaggiolo stilizzato, che già nel Nord neolitico vale quale simbolo
dell’albero della vita, e per sé di nuovo, come il trifoglio, per l’indicazione
dell’asse celeste meridionale-settentrionale, è adoperato
soltanto per il nord (7).
Di quali antichissime tradizioni
artico-nordiche si tratti qui, risulta da un breve confronto delle indicazioni
della stella Polare presso i popoli circumartici. Presso gli Indiani Pawnee del
Nebraska, la “stella che non muove” è la principale stella del cielo (8); gli
Aztechi del Messico la ritenevano addirittura un essere più alto e più possente
del Sole medesimo. Presso i Ciukci il dio principale è quello della Stella
Polare (9), come anche a sud in Babilonia, la stella Polare è il trono del
supremo dio celeste Anu.
Nella poesia popolare islandese
esso si chiama veraldarnagli, “ago
del mondo” (10). Con ciò è da osservare che la indicazione “dio del mondo”,
“uomo del mondo”, è un’antichissima denominazione nordico-atlantica del figlio
di Dio e del Dio padre. Mentre nella Ynglinga
Saga (c. 13) Freyr, originariamente il nome del figlio di Dio del periodo
dell'’riete (serie –p-, -f-, -b-), il
“Signore”, reca ancora la designazione veraldar
god, nel lappone è ancora conservata la più antica denominazione del
“periodo dell’alce”, veralden olma,
“uomo del mondo”. La stessa designazione della stella polare la troviamo nel
finnico taivaan sarana, “angelo del
cielo” e pohja nael, “chiodo del
fondo (del cielo)” o “del nord” (pohi, “fondo”
e “nord”). Allo stesso modo presso i Lapponi esso si chiama bohinavvle, “chiodo del nord”: quando
questo scorre via, il cielo cade giù, concezione che ci è tramandata anche dai
Celti. I Samoiedi della zona di Turuchansk lo chiamano “chiodo del cielo”,
“intorno a cui gira l’intero mondo” (secondo Tretjakov). I Korjaki lo chiamano,
come i Ciukci, “stella del chiodo”.
Colà, dove è il “chiodo del
mondo”, si trova la punta del tronco dell’”albero dei mondi”, della “colonna
del mondo”, che dunque è “inclinata verso il nord”: il chiodo del mondo
rafforza la cima dell’”albero dei mondi”, della “colonna del mondo”, al cielo,
quale asse del cielo. I Lapponi scandinavi chiamano la stella Polare veralden tsuold, “colonna del mondo”, i
Lapponi russi alme-tsuolda, “colonna
del cielo” (11), in cui alme è identico a olma, nome del dio supremo, veralden
olma, “uomo dei mondi”, “dio dei mondi”.
Il “chiodo dei mondi” (veraldarnagli)
al culmine della “colonna dei mondi” (veralden
tsuold), del sacro simbolo del dio supremo, dell’”uomo dei mondi” (veralden olma), fu da Knud Leems veduto
e descritto ancora in una “colonna del mondo” lappone, presso Porsenger (12).
Come presso gli Ostjachi, era una trave quadrangolare, al cui termine superiore
si trovava un punteruolo di ferro, il veraldarnagli.
La “colonna del mondo” stava fra i “due monti”, simbolo del solstizio d’inverno
e della divisione dell’anno. (…)
Torniamo alla tradizione dell’Avesta.
In Vendidad, 6, 44, si chiede: “O
creatore, onorevole asa! Dove
dobbiamo portare il corpo degli uomini morti, o Ahura Mazda? Dove dobbiamo
deporlo?”.
“45. Ahura Mazda risponde: ‘Nei luoghi più alti, o Spitama Zarathustra,
in modo che più sicuramente lo possano scorgere i cani divoratori di cadaveri e
gli uccelli mangiatori di morti”.
E: “49. ‘O creatore, venerabile asa!
Dove dobbiamo portare le ossa di uomini morti, o Ahura Mazda? Dove dobbiamo
deporle?’
50. Allora disse Ahura Mazda: ‘Occorre predisporre per ciò una
costruzione al di sopra del cane, al di sopra della volpe, del lupo, che non
possa essere bagnata dal di sopra dall’acqua piovana.
51. Se gli adoratori di Mazda sono in grado di far ciò, le ossa devono
essere deposte nella costruzione su
un sostrato di pietra o di calcina o di argilla. Se gli adoratori di Mazda non
sono in grado di fare ciò, occorre deporre
le ossa per esposizione e illuminazione solare sulla terra, in modo che
esse (senza un proprio supporto) costituiscano il loro proprio giaciglio e il
loro proprio cuscino”.
Per la sepoltura provvisoria il morto viene affidato nella sua casa al
grembo della Madre Terra. Egli deve però sempre essere dissepolto di nuovo e
affidato per il dissolvimento alla luce di Dio. Nella religione mazdea era già
un grave peccato, seppellire per una metà
dell’anno nella terra l’uomo morto, senza ridisseppellirlo ed esporlo alla
luce (Vendidad, 3, 36). Nuovamente
indicativo è qui il termine del mezzo anno, che corrisponde con la notte invernale artica. Dopo un mezzo
anno, dunque, ogni morto deve essere dissepolto e l’esposizione della salma al
sole deve poter avere luogo. Il corpo morto torna più facilmente alla terra
attraverso la dissoluzione nella luce, che attraverso il seppellimento. Il
ridiventare terra e il risorgere da essa attraverso la luce è il profondo
significato cosmico di questo rito (Vendidad,
7, 45-48):
“45. O creatore, venerabile asa! Entro qual termine una salma, per
il fatto di essere stata deposta in terra ed esposta alla luce e al sole,
diventa terra?
46. Disse allora Ahura Mazda: ‘Nel termine di un anno, o Zarathustra,
credente negli asa, un cadavere, (per
il fatto che) è depositato sulla terra, ed esposto alla luce ed al sole,
diventa esso stesso terra.
47. O creatore, venerabile asa! Entro quale scadenza una salma, che
è interrata, diventa essa stessa buona come la terra?
48. Disse allora Ahura Mazda:
‘Dopo cinquant’anni, o Spitama
Zarathustra, un cadavere sotterrato diventa esso stesso come la terra”.
Questa è stata l’utilizzazione
del più antico tipo di dolmen, del dolmen aperto, che cioè sulla sua lastra di
copertura il morto fosse composto per la dissoluzione alla luce, e che poi le
sue ossa imbiancate potessero essere poste sotto di lui sulla terra. Il
pensiero della sepoltura sovraterrena costituisce sempre il significato fondamentale della tomba megalitica, anche
nel suo successivo sviluppo. Questo porta all’identità di significato di “casa”
e “tomba”. Il dolmen chiuso con entrata è la casa di neve (igloo) paleolitica
tramandata quale costruzione di pietra dei popoli artico-nordici, le cui
particolarità cultuali vengono ancora fedelmente conservate dai popoli
subartici, da Lapponi come da Eschimesi. L’aumento e la densità della
popolazione e il clima più caldo dell’ultimo neolitico deve aver ridotto sempre
più per motivi igienici l’esposizione delle salme, rendendola possibile
soltanto ancora per personalità eminenti. Mentre l’immediata e stabile
sepoltura nel grembo della Madre Terra divenne comune. La casa-sepoltura
megalitica conserva la sua disposizione e significato quale luogo di
composizione della salma. Il suo ingresso è sempre orientato verso i punti del solstizio d’inverno, cioè
prevalentemente sud-est, sud e sud-ovest, ma anche da ovest ad est, una ancor
più antica tradizione, che risale alla metà dell’anno invernale, alla notte
artica invernale.
Resta l’idea fondamentale che il
morto giaccia liberamente composto sulla terra e che la luce solare abbia
accesso attraverso il buco nella lastra di pietra o attraverso la porta di legno.
Da ciò anche la forma determinata dei geroglifi del solstizio d’inverno, che
furono dati a questi fori.
HERMAN WIRTH
VERALDENRADIEN (sovrano del mondo) accanto all'albero cosmico (da un
tamburo sciamanico lappone)
Note:
(1)
O.HEER, Flora fossilis arctica, Zürich
1868-1883
, cit.
in W.KOPPEN – A.WEGENER, Die Klimate der
geologischen Vorzeit, Berlin 1924, pp.106-107.
(2)
Cfr.W.KOPPEN
– A.WEGENER, op.cit., p.227, fig. 36.
(3)
Cfr.
A.WEGENER, Die Entstehung der Kontinente
und Ozeane, cit., p.57.
Cfr. inoltre “Proc.
Of the Royal Irish Acad.”,
28, 1, (1909), pp. 1-28.
(4)
Per la traduzione dal Gylfaginning, abbiamo seguito quella da:
SNORRI STURLUSON, Edda, a cura di G.Dolfini, Adelphi, Milano 1975, pp. 116-117.
(5)
E’ interessante notare che il
simbolo significativo della “freccia d’oro” è parimenti attrubuito, nella
tradizione ellenica, ad Abari “l’Iperboreo”, di cui parla un antico frammento
di Licurgo (fr. 5a), che esplicitamente lo collega ad Apollo: è questa una spia
che rinvia alla comune tradizione artica (cfr. anche il commento di G.COLLI
nella raccolta da lui curata su La
sapienza greca, Adelphi, Mi ‘77, p.432).
(Ndc.)
(6)
Cfr.
H.S.FALK-A.TORP, Norwegisches-Dänisches
etymologisches Wörterbuch, Heidelberg 1910, pp. 627-628.
(7)
In questo contesto, in
Italia, ci pare pertinente il riferimento alla cosiddetta “rosa camuna” della
Valcamonica (oggi simbolo ufficiale della Regione Lombardia), che probabilmente
rimanda allo stesso simbolismo ‘artico’.
(Ndc.)
(8) Cfr. H.B.ALEXANDER, North American Mythology of all races, vol.
X, Boston 1916, p.109.
(9)
Per la civiltà preistorica degli antenati dei Ciukci, cfr. ora N.DIKOV, Origini della cultura paleoeschimese, in
“Bollettino del Centro Camuno di Studi Preistorici”, XVII, 17, dic. 1979, pp.
89-96 (Ndc.)
(10)
Cfr. A.OLRIK, Irminsul og gudesdotter, Maal
og Minne 1910, pp. 11 ss.
(11)
U.HOLMBERG, Der Baum des Lebens, “Suomalaisen
Tiedeakatemiam Toimituksia (Annales
academiae scientiarum Fennicae), S.B., tomo XVI, Helsinki 1922-23, p.18;
cfr. LINDAHL & OHRLING, Lex. Lapp. 478:
tjuold, tjuolda, “palus, pale; il. stella polaris, cynosura, nordstjerna”.
Ita dicta quia immobilis manet et fixa, wralden
tjuold, “palis sive axis mundi,
id.”.
(12)
K.LEEMS, Beskrivelse over Finmarkens
Lapper, Kiobenhavn 1767, t.LXXXVI
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