Il Mondo Ario secondo De Gobineau
A designare gli elementi primigeni ancora
esenti da ogni mescolanza della razza bianca e altresì le parti di essa che il
destino ha salvato dalla contaminazione della specie e conservato in seno a
popoli ormai misti come frammenti sparsi di questa umanità superiore, il De
Gobineau usa il termine ARIO. Abbiamo già detto che questo termine fu per la
prima volta adottato dal Bopp [2]. Esso ha un’origine indo-persiana. In
sanscrito designa i “nobili”, coloro che son degni di onore e si applica
all’insieme delle caste superiori, in opposto alla casta dei servi, o sudra. Quest’ultima casta è anche
chiamata “casta nemica” e “casta oscura”, mentre quella degli arya è detta anche “casta divina”. Il
termine sanscrito per “casta” – varna –
vuol parimenti dire “colore”. Da tutto ciò sorge l’idea che il sistema indù
delle caste altro non sia che il risultato di una stratificazione di razze
originariamente di diverso colore: i bianchi e “divini” arya essendo i conquistatori, e gli strati “nemici” oscuri e
servili essendo invece gli aborigeni soggiogati. Il Rg-Veda, testo originario della tradizione indù, chiama aryas coloro che parlano la lingua in
cui è redatto e aryavarta, cioè
“terra degli Ari” il dominio da essi conquistato. Il termine “ario” o “ariano”
appartiene anche alla tradizione irànica. Il gran re Dario in una iscrizione di
Bechistun si definisce “Ario, di razza aria” e chiama il suo Dio “il dio degli
Arii”. Erodoto riferisce che i Medi prima si chiamavano “Ari” e taluno vuole che
il nome stesso della Persia, come Iran, e prima Eran, voglia dire “Terra degli
Arii”. La tradizione irànica in ogni modo dà alla patria originaria
leggendaria, posta all’estremo Nord, delle razze che crearono la civiltà
medio-persiana, il nome di airyanem vaejo che vuol dire “semenza degli Arii”; ed essa vien considerata come la prima
creazione del Dio di Luce, Ahura Mazda. Gli Arii son concepiti come gli amici,
i fedeli e gli alleati del Dio di Luce, che per lui combattono contro il Dio
delle Tenebre, Arimane, e contro i suoi emissari. In una tale lotta, che
costituisce il tema centrale di tutta la religione persiana, molti razzisti
vogliono vedere una trasposizione fantastica del ricordo della lotta fra due
razze, corrispondenti rispettivamente a quelle che nella gerarchia indù delle
caste costituiscono gli arya divini e
i servi oscuri. Si è cercato di ritrovare il nome “arya” anche in Europa. L’antico nome dell’Irlanda, Erin, Erenn, è stato ad esso ravvicinato, e una traccia corrispondente si
è pensato di trovarla nel termine irlandese aire
che significa “signore”. Quanto al De Gobineau, egli vuol ritrovare la
radice ar di arya nella stessa parola tedesca Ehre, che significa “onore”, per confermare l’inerenza del concetto
di “onore” alla pura razza bianca; nella parola greca aristos, che implica l’idea di superiorità e si riconnette alla
stessa radice; infine nel latino herus
e nel tedesco Herr, parole che
significano “signore” – donde di nuovo, l’idea della razza aria come razza di
dominatori nati. Al centro della spiritualità della razza aria sta per il De
Gobineau il concetto di luce, di splendore. Gli dèi ariani sono essenzialmente
divinità della luce, dello splendore solare, del cielo luminoso, del giorno.
Dalla radice du, che vuol dire
illuminare, sarebbe derivato il nome degli dèi nazionali più significativi
delle sottospecie della razza: il deva e
il dyaus degli Indù, il Deus dei Latini, lo Zeus degli Elleni, il Dus gallico,
il Tyr nordico, il Tiuz dei Tedeschi antichi, la Devana degli Slavi. Questa idea di luce
starebbe peraltro nella più stretta relazione col principio intellettuale,
sarebbe la luce stessa dell’intelletto creatore e dominatore in opposto con la
concezione dell’Al degli aborigeni
negroidi, personificazione di forze frenetiche e della selvaggia imaginazione.
Gli Arii di fronte ai loro dèi non avevano né paura, né attitudine servile. Si
sentivano non solo della loro stessa razza, ma per gli Eroi, ai quali si
riservava il privilegio delle forme più alte di immortalità, non di rado si concepì
la possibilità di lottare contro gli abitanti dei cieli e di strappar loro lo
scettro. Definito il concetto di razza bianca aria, di civiltà e di
spiritualità aria, il De Gobineau non esita ad affermare che “ogni civiltà
procede dalla razza bianca, nessuna può esistere senza il concorso di questa
razza e una civiltà è grande e splendente proporzionatamente al fatto, che essa
conservi per lungo tempo il nobile gruppo che l’ha creata, cioè un gruppo
appartenente al ramo più illustre della specie, al ramo ario”. Per dimostrare
in un certo qual modo questo suo enunciato, e per mostrare altresì, che non
appena, in un dato ciclo, si manifesta un principio di morte, esso deriva dalle
razze inferiori ammesse dai civilizzatori, il De Gobineau si è dato ad analizzare
lo sviluppo delle principali civiltà che hanno regnato nel mondo. Tali civiltà
sarebbero in numero di dieci. Gruppi arii crearono la civiltà indù, la civiltà
persiana e la civiltà greca, che poi fu modificata da elementi semiti. Due
gruppi di colonizzatori arii, venuti dall’India, crearono la civiltà egizia,
intorno a cui si raccolsero soprattutto Etiopi e Nubiani, e, gli altri,
portarono una certa luce di superiore civiltà in Cina, il cui sviluppo si
arrestò all’esaurirsi del sangue di quei dominatori o di analoghi elementi
venuti in Cina dal Nord. Anche la civiltà assira è di origine ariana: alterata
successivamente da Ebrei, Fenici, Lidi, ecc., ad essa unitisi, dovette
nuovamente agli Arii del periodo persiano il suo rinascimento. L’antica civiltà
della penisola italica da cui sorse la cultura romana, fu espressione di un
intreccio fra Semiti, Ariani celtici e Iberici. Le stesse antiche civiltà del
Perù e del Messico sarebbero derivate da misteriose colonie arie. Infine,
prettamente aria è l’ultima civiltà della storia del mondo, quella sorta dal
Medioevo nordico-germanico. Qui non è il caso di seguire la ricostruzione della
nascita, dello sviluppo e del tramonto di tutte queste civiltà, quale
l’intraprese il De Gobineau: […] Quel che qui importa piuttosto mettere in
rilievo, è, in genere, l’affacciarsi di un nuovo metodo storiografico. Il De
Gobineau è l’introduttore del metodo razziale dinamico, cioè di un metodo che
individua e separa qualità eterogenee in quel che in una data civiltà sembrava
unito, e in funzione del dinamismo di questi elementi eterogenei, ricondotti a
fattori etnici, lascia svolgere dinanzi a noi le vicende della vita e della
morte delle varie civiltà. Qui aggiungeremo solo qualche considerazione di
dettaglio. Se le doti essenziali della razza aria vengono offuscate al
mescolarsi di un sangue diverso, pure il de Gobineau ritiene che da tale
miscuglio possano trarre origine altre doti. Per esempio, il sentimento
estetico e la creazione artistica sarebbero dei derivati della combinazione del
sangue ario col sangue negro-melanesiano. Nella poesia epica predominerebbe la
componente aria; nelle creazioni artistiche ove è in risalto il lirismo,
l’imaginazione veemente e la sensualità si tradirebbe invece il predominio
delle qualità caratteristiche del sangue negro. Il relazione a ciò, va anche
ricordato che al De Gobineau va parimenti ricondotta una delle idee che avranno
gran parte nella filosofia della civiltà razzisticamente intonata:
l’opposizione fra razze maschili e razze femminili. “La specie melanesiana
(negroide) appare con una personalità femminile mentre il genere maschile è
quasi sempre rappresentato dall’elemento bianco.” Il prodotto che risulta dal
loro incrocio, “meno veemente dell’individualità assoluta del principio femminile,
meno integro nella potenza intellettuale che il principio maschio, gode di una
combinazione delle due forze che gli permette la creazione estetica, interdetta
all’una e all’altra delle due razze dissociate”. Un altro prodotto della
mescolanza del sangue per il De Gobineau sarebbbe il sentimento della patria e
dell’autorità, che sorgerebbe dall’unione degli Arii con i Semiti, da una
mitigazione semitica del gusto ariano per l’isolamento, l’indipendenza e la
personalità. Vedremo spesso ripreso questo tema, nel senso di riferire a
qualcosa di “semitico” ogni forma di sovranità e di statolatrìa comprimente gli
elementi etnico-nazionali. Peraltro, già al De Gobineau risale l’espressione di
“Roma semitica” per designare il periodo imperiale di questa civiltà; ciò “non
nel senso che essa indichi una varietà umana identica a quella che risulta
dalle antiche combinazioni caldaiche e camitiche”, ma nel senso che “nelle
moltitudini sparse con la fortuna di Roma su tutti i paesi sottomessi ai
Cesari, la maggior parte era più o meno macchiata di sangue nero e
rappresentava così una combinazione non equivalente ma analoga alla fusione
semitica”. Qualità “nere” predominanti, ben contenute in certi limiti e
compensate mediante alcune qualità bianche furono, per il De Gobineau, fattori
essenziali nello sviluppo di Roma imperiale. In più di un punto, la presa di
posizione del De Gobineau di fronte al cristianesimo sembra negativa: troppo
risente, questa credenza, di “una religione da schiavi, avvilente perché
pacifista e egualitaria e, in una parola, indegna delle razze che ancor
conservano una qualche scintilla della fiamma aria”. In ogni caso, per lui il
cristianesimo si è purificato via via che da semitico e greco si è fatto romano
(cattolicesimo) e, da romano, germanico [3]. Per il De Gobineau i Germani e le
altre stirpi nordiche del periodo delle invasioni appaiono naturalmente come
razze di puro sangue ario. Ma, attratte dal miraggio del simbolo romano, esse
non poterono sottrarsi al destino di dissolversi nei detriti potenti delle
razze amalgamate da Roma, fra le quali la loro energia e il loro sangue
dovevano decadere. Questa assimilazione però non fu così rapida da trascinare
la società al punto di partenza “semitico” proprio al basso impero: in un primo
tempo gli elementi germanici potettero sì venir assorbiti, ma non fino a tal
segno. E’ così che sorse la civiltà di
“Roma germanica”, cioè la civiltà medievale. Ogni società normale, per
il De Gobineau, si fonda su tre classi o caste originarie [4], corrispondenti a
distinti strati etnici: “La nobiltà, imagine più o meno somigliante della razza
gloriosa; la borghesia, composta di meticci simili alla grande razza; il
popolo, ceto servile appartenente ad una varietà umana inferiore: negra nel
Sud, finnica [5] nel Nord.” Il Medioevo conobbe ancora una tale ripartizione.
Ma essa si rivelò sempre più priva della sua base razziale e quindi della sua
forza. Così questa imagine gerarchica dioveva a poco a poco disfarsi mentre si
spegnevano e si disperdevano le ultime vene di puro sangue ario. Ci si avvia
verso l’ “atmosfera ripugnante del letame democratico” moderno. La conclusione
delle vedute del Gobineau, quali si trovano esposte nella sua opera principale,
il famoso Saggio sull’Ineguaglianza delle
Razze Umane [6], che vide la luce fra il 1853 e il 1855, è pessimista. L’impulso dominatore
della razza bianca, lanciandola su tutte le terre, ha infranto le ultime
barriere etniche, ha creato un mondo in cui non esistono più le distanze e ove
il ravvicinamento, l’aggregazione e la confuzione dei tipi sono fatali e rapidi
quanto mai. “Non si trovano più degli Ariani puri.” E’ legge inesorabile, che
tutto ciò che ha potenza di civiltà attragga altre razze, si estenda, si
dissipi, si degradi. Il De Gobineau, alla fine del suo libro, dice che la storia
del mondo volge verosimilmente, per tal via, verso quella “suprema unità” che,
peraltro, egli già aveva dichiarato esser solo la verità di meticci senza razza
[7].
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