"
Tibi serviat ultima Thyle" ( Virgilio, Georgiche, libro I, 30) Con questo verso il poeta latino Virgilio
immortalava nella storia non solo le grandezze del principato di Augusto ma
anche la storia di Tule, la mitica isola descritta dal navigatore greco Pitea
di Marsiglia. Pitea di Marsiglia visse durante IV secolo a.C. ai tempi di
Alessandro Magno o comunque poco dopo. Questo personaggio fece un viaggio nel
nord Europa e si spinse fino ai limiti del mondo allora conosciuto, fino
all'isola di Tule. Il navigatore descrisse il suo viaggio in un libro "
Intorno all'Oceano", che sfortunatamente è andato perduto. Buona parte
degli eruditi e scienziati dell'antichità non credettero al racconto di Pitea e
solo geografi e matematici come Eratostene ed Ipparco considerarono come
veritiero il suo viaggio. Infatti il navigatore marsigliese aveva per primo
osservato il periodo di sei mesi di luce e sei mesi di buio che è
caratteristico delle zone polari e aveva fatto molte rilevazioni di tipo
astronomico nelle zone dell'Europa settentrionale. Queste osservazioni erano
state convalidate anche dai calcoli degli scienziati greci alessandrini, che
avevano già raggiunto le conclusioni di Pitea attraverso un calcolo teorico
della posizione degli astri. Tuttavia, molti furono gli oppositori di Pitea e
fu forse per questo che l'opera del navigatore ci è giunta in modo
frammentario. Il viaggio di Pitea può essere riassunto in questo modo: partito
da Marsiglia, costeggiò la Francia e la Spagna e oltrepassò lo Stretto di
Gibilterra, evitando la sorveglianza cartaginese. Poi si inoltrò nell'Atlantico
e, arrivato in Gran Bretagna, la circumnavigò, e vi raccolse notizie sulla
misteriosa isola di Tule. Sebbene Pitea di Marsiglia abbia visitato le miniere
della Cornovaglia, lo scopo del suo viaggio deve essere stato principalmente
scientifico e solo in minima parte di tipo commerciale. Il grande mistero
creatosi con il viaggio di Pitea è l'identificazione dell'Isola di Tule.
Collocata da qualche parte nel nord Europa, è stata oggetto di molte
discussioni. Fino a qualche tempo fa, si riteneva di identificare l'isola in
questione con l'Islanda o con la Groenlandia, ma più recentemente si è pensato
di accostarla all'arcipelago delle isole Orcadi o delle Shetland.
Personalmente, ritengo che sia più giusto identificare l'isola con l'Islanda
poichè quando si parla di Tule si fa riferimento a un'isola sola e non ad un
arcipelago. Come già detto in precedenza, l'opera di Pitea è andata perduta e
quindi per cercare riferimenti all'isola di Tule bisogna consultare gli antichi
testi che ne hanno parlato. Ecco cosa dice Plinio il Vecchio nella sua
"Storia Naturale" riguardo a Tule.
Libro II, 186-187
"
Così succede che, per l'accrescimento variabile delle giornate, a Meroe il
giorno più lungo comprende 12 ore equinoziali e 8/9 d'ora, ma ad Alessandria 14
ore, in Italia 15, 17 in Britannia, dove le chiare notti estive garantiscono
senza incertezze quello che la scienza, del resto, impone di credere, e cioè
che nei giorni del solstizio estivo, quando il sole si accosta di più al polo e
la luce fa un giro più stretto, le terre soggiacenti hanno giorni ininterrotti
di sei mesi, e altrettanto lunghe notti, quando il sole si è ritirato in
direzione opposta, verso il solstizio di inverno. Pitea di Marsiglia scrive che
questo accade nell'isola di Tule, che dista dalla Britannia sei giorni di
navigazione verso nord; ma certuni lo attestano per Mona, distante circa 200
miglia dalla città britannica di Camaloduno."
Libro
IV, 104
" A
una giornata di navigazione da Tule c'è il mare solidificato, che taluni
chiamano Cronio." Da questi due brani si può facilmente capire che Tule si
trovava molto vicino al Polo Nord. E' importante il fatto che il mare
solidificato (ghiacciato) venga chiamato Cronio, perchè ne " Il volto
della luna "di Plutarco, si fa menzione ad un isola di " Crono"
situata nell'Oceano Atlantico: "Stavo finendo di parlare quando Silla mi
interruppe:<< Fermati, Lampria, e sbarra la porta della tua eloquenza.
Senza avvedertene rischi di far arenare
il mito e di sconvolgere il mio dramma, che ha un altro scenario e diverso
sfondo. Io ne sono solo l'attore, ma ricorderò anzitutto che il suo autore
cominciò per noi, se possibile, con una citazione da Omero: "lungi nel
mare giace un'isola, Ogigia," a cinque giorni di navigazione dalla
Britannia in direzione occidente. Più in là si trovano altre isole,
equidistanti tra loro e da questa, di fatto in linea col tramonto estivo. In
una di queste, secondo il racconto degli indigeni, si trova Crono imprigionato
da Zeus e accanto a lui risiede l'antico Briareo, guardiano delle isole e del
mare chiamato Cronio. Il grande continente che circonda l'oceano dista da
Ogigia qualcosa come 5000 stadi, un po' meno delle altre isole; vi si giunge navigando
a remi con una traversata resa lenta dal fango scaricato dai fiumi. Questi
sgorgano dalla massa continentale e con le loro alluvioni riempiono a tal punto
il mare di terriccio da aver fatto credere che fosse ghiacciato. [...] Quando
ogni trent'anni entra nella costellazione del Toro l'astro di Crono, che noi
chiamiamo Fenonte e loro - a quanto mi disse - Nitturo, essi preparano con
largo anticipo un sacrificio e una missione sul mare.[...] Quanti scampano al
mare approdano anzitutto alle isole esterne, abitate da Greci, e lì hanno modo
di osservare il sole su un arco di trenta giorni scomparire alla vista per meno
di un'ora - notte, anche se con tenebra breve, mentre un crepuscolo balugina a
occidente." Plinio e Plutarco potrebbero parlare della stessa isola. Ma
adesso vediamo cosa dice il geografo Strabone su Thule:
Libro
IV, 5,5
( Strabone prima critica Pitea ritenendolo un
imbroglione, ma poi dice:) " A ogni modo, pare che ( Pitea ) abbia
dimostrato di sapersi servire correttamente dei principi che riguardano i
fenomeni celesti e la teoria matematica, sostenendo che gli abitanti dei luoghi
più vicini alla zona glaciale soffrono di una totale carenza, o comunque
limitatezza di frutti coltivati e di animali, e che si nutrono di miglio e di
erbe o frutti selvatici e radici: quelli che hanno grano e miele se ne servono
anche per farne bevanda; e il grano, poichè il sole non splende mai senza
velature, lo battono in grandi stanze, dopo avervi introdotto i covoni: farlo
all'aria aperta è impossibile, per la mancanza di sole e per le piogge."
Tule non doveva essere sia per la propria posizione geografica che climatica
molto fertile. A mio avviso Thule è da identificarsi con l'Islanda, che secondo
quanto dicono gli "Atlantologi", dovrebbe essere un residuo di
Atlantide. E' interessante il mito descritto da Plutarco che parla di un'isola
in cui è prigioniero Crono. Siccome Cronide è definito il mare ghiacciato, il
mito dell'isola di Crono potrebbe essere la rappresentazione allegorica della
condizione attuale di una parte del continente atlantico. Si potrebbe infatti
interpretare così: l'isola di Atlantide ( Crono), dopo un lungo periodo di
prosperità ( età di Saturno), venne intrappolata dai ghiacci, a seguito di una
grande catastrofe ( la stessa catastrofe che fece scomparire la maggior parte
delle isole di Atlantide che si trovavano molto più a sud dell'Islanda). Il
mistero di Tule comunque non finisce qui. Nel nord Europa, secondo gli antichi,
viveva una popolazione leggendaria, che veniva chiamata "Iperborei".
Forse gli Iperborei erano gli abitanti dell'isola di Thule e quindi
appartenenti alla stirpe degli abitanti di Atlantide? Tule potrebbe essere
l'isola degli Iperborei descritta da Diododro Siculo? Gli Iperborei potrebbero
aver influenzato i pre-celti nella costruzione dei siti astronomici? Diodoro
Siculo nella sua " Biblioteca Storica" ci parla del popolo degli
Iperborei e delle loro usanze, ecco cosa dice: " Biblioteca storica,
Diodoro Siculo, libro II, 4747. Dal momento che abbiamo riservato una descrizione
alle parti dell'Asia
rivolte a nord, crediamo che non sia fuori luogo trattare le storie che si
raccontano a proposito degli Iperborei. In effetti, tra coloro che hanno
registrato gli antichi miti, Ecateo e alcuni altri affermano che nelle regioni
poste al di là del paese dei Celti c'è un'isola non più piccola della Sicilia;
essa si troverebbe sotto le Orse e sarebbe abitata dagli Iperborei, così detti
perché‚ si trovano al di là del vento di Borea. Quest'isola sarebbe fertile e
produrrebbe ogni tipo di frutto; inoltre avrebbe un clima eccezionalmente
temperato, cosicché‚ produrrebbe due raccolti all'anno. Raccontano che in essa
sia nata Leto: e per questo Apollo vi sarebbe onorato più degli altri dei; i
suoi abitanti sarebbero anzi un po' come dei sacerdoti di Apollo, poiché‚ a
questo dio si inneggia da parte loro ogni giorno con canti continui e gli si
tributano onori eccezionali. Sull'isola ci sarebbe poi uno splendido recinto di
Apollo, e un grande tempio adorno di molte offerte, di forma sferica. Inoltre,
ci sarebbe anche una città sacra a questo dio, e dei suoi abitanti la maggior
parte sarebbe costituita da suonatori di cetra, che accompagnandosi con la
cetra canterebbero nel tempio inni al dio, celebrandone le gesta. Gli Iperborei
avrebbero una loro lingua peculiare, e sarebbero in grande familiarità con i
Greci, soprattutto con gli Ateniesi e i Delii: avrebbero ereditato questa
tradizione di benevolenza dai tempi antichi. Raccontano poi anche che alcuni
Greci siano giunti presso gli Iperborei, e vi abbiano lasciato splendide
offerte con iscrizioni in caratteri greci. Allo stesso modo anche Abari sarebbe
anticamente venuto dagli Iperborei in Grecia, rinnovando la benevolenza e le
relazioni con i Delii. Dicono poi che da quest'isola la luna appaia a
pochissima distanza dalla terra, e con alcuni rilievi quali quelli della terra
chiaramente visibili su di essa. Si dice inoltre che il dio venga nell'isola
ogni diciannove anni, periodo in cui giungono a compimento le rivoluzioni degli
astri - e per questo motivo il periodo di diciannove anni viene chiamato dagli
Elleni "anno di Metone". In questa sua apparizione, il dio suonerebbe
la cetra e danzerebbe di continuo ogni notte dall'equinozio di primavera fino
al sorgere delle Pleiadi, compiacendosi dei propri successi. Regnerebbero sulla
città e governerebbero il recinto sacro i cosiddetti Boreadi, discendenti di
Borea, e si trasmetterebbero di volta in volta le cariche per discendenza.
" Riguardo ai contatti avuti tra greci ed iperborei, Erodoto ci riferisce
alcune notizie nel libro IV (33-35) che confermano il legame religioso tra il
culto di Apollo degli abitanti di Delo e degli Iperborei. Ovviamente ciò che
accomuna questi due popoli è l'interesse comune per l'astronomia, che è
caratteristico delle popolazioni di cultura atlantidea: " Ma più di tutti
ne parlano (degli Iperborei) i Delii, affermando che offerte avvolte in paglia
di grano provenienti dagli Iperborei giungono in Scizia e che dagli Sciti in
poi i popoli vicini, ricevendone uno dopo l'altro, le portano verso occidente
assai lontano, fino all'Adriatico, e di là, mandate innanzi verso sud, primi
fra i Greci le ricevono i Dodonei, e da questi scendono al golfo Maliaco e
passano in Eubea, e una città le manda all'altra sino a Caristo, e dopo Caristo
viene lasciata da parte Andro, perché sono i Caristi quelli che la portano a
Teno, e i Teni a Delo. Dicono dunque che in tal guisa queste sacre offerte
giungono a Delo, e che la prima volta gli Iperborei mandarono a portare le
offerte due fanciulle, che i Delii dicono si chiamassero Iperoche e Laodice e
che insieme a queste per ragioni di sicurezza gli Iperborei mandarono anche
come scorta cinque cittadini, quelli che ora sono chiamati Perferei e godono in
Delo grandi onori. Ma, poiché gli inviati non tornavano gli Iperborei ritenendo
cosa assai grave se fosse sempre dovuto accadere che inviando dei delegati non
li riavessero più indietro, allora, portando ai confini le offerte sacre
avvolte in paglia di grano, le affidarono ai vicini raccomandando loro di
mandarli innanzi dal proprio a un altro popolo. Raccontano che queste offerte
giungano a Delo mandate innanzi in tal modo, e io stesso so che si pratica un
rito simile a questo che ora esporrò: le donne tracie e peonie, quando
sacrificano ad Artemide regina, offrono un sacrificio usando paglia di grano.
Dunque so che fanno così, mentre in onore delle fanciulle venute dagli
Iperborei e morte a Delo, le giovani e i giovani delii si recidono le
chiome. Le une, tagliandosi prima delle nozze un ricciolo e avvoltolo intorno a
un fuso, lo depongono sulla tomba - la tomba è sulla sinistra per chi entri
nell'Artemisio, e le sorge accanto un olivo-, mentre tutti i ragazzi delii,
avvolta una ciocca di capelli attorno a uno stelo verde, la depongono anch'essi
sul tumulo. Esse quindi ricevono tali onori dagli abitanti di Delo. I Delii
stessi poi raccontano che anche Arge e Opi, vergini iperboree, sarebbero giunte
a Delo ancora, prima che Iperoche e Laodice, facendo lo stesso viaggio. Ma
aggiungono che queste ultime sarebbero venute per portare ad Ilizia il tributo
che gli Iperborei si erano imposti in compenso del rapido parto, e che Arge e
Opi invece vennero insieme alle divinità stesse; e che a queste vengono resi
onori diversi; per loro le donne raccolgono offerte, invocandone i nomi
nell'inno composto da Olen, poeta di Licia, ed avendoli appresi da esse gli
isolani e gli Ioni invocano nei loro inni Opi e Arge chiamandole a nome e
raccogliendo offerte - questo Olen venuto dalla Licia compose gli altri antichi
inni che si cantano a Delo - e usano la cenere delle cosce bruciate sull'altare
gettandola sulla tomba di Opi e Arge. La loro tomba è dietro l'Artemisio,
rivolta verso oriente, vicinissima alla sala da banchetto dei Cei."
Probabilmente questo antico contatto tra delii e iperborei avvenne per il fatto
di possedere un culto in comune. Tale culto potrebbe risalire al periodo
atlantideo, quando la Grecia, come si può dedurre dal "Crizia" di
Platone, era un'importante potenza politico - militare. E' da sottolineare il
fatto che gli iperborei di Erodoto, con molta probabilità, sono i discendenti
degli iperborei vissuti al tempo della civiltà atlantidea. Gli iperborei di
Erodoto sono stanziati in una zona imprecisata dell'Europa orientale. Inoltre
in Plinio, gli Iperborei sono popolazioni non ben identificate del nord-est
europeo. Secondo l'erudito romano, gli Iperborei sono stanziati oltre i monti
Ripei (Urali) e precisamente molto vicino al polo nord. Lo stesso dice: "
Alle spalle di quei monti (Ripei) e oltre il vento del nord si trova un popolo
fortunato - se dobbiamo crederci! -, cui è stato dato il nome di Iperborei;
vivono sino a un'età carica di anni, e sono rinomati per mitiche meraviglie. Si
crede che lì si trovi uno dei poli su cui il cosmo è imperniato, e lì termini
il giro delle stelle; la luce vi durerebbe sei mesi, quando il sole è di
faccia; non però, come dicono gli incompetenti, dall'equinozio primaverile
all'autunno. In realtà, questa gente vede sorgere il sole una volta all'anno,
al solstizio estivo, e una volta tramontare, a quello di inverno. La zona è
solatia e di clima felicemente temperato, esente da ogni aria nociva. Le loro
case, boschi e foreste; i culti divini si svolgono singolarmente, o per
raggruppamenti; le lotte intestine sono ignorate, e così pure qualsiasi
malattia. La morte viene solo per sazietà di vivere [...]" Come si può
leggere, è un'altra terra felice e prospera. Penso che la descrizione possa in
linea generale (c'è molta fantasia, come nota Plinio)
rappresentare il nord Europa prima dell'ultima glaciazione. Il fatto che,
secondo gli antichi storici, esistesse uno stanziamento umano vicino al polo
nord, non può farci pensare altro che né gli Iperborei "pliniani" né
quelli descritti da Diodoro siano gli Iperborei contemporanei ai due scrittori,
ma sono in realtà gli Iperborei "antidiluviani", che probabilmente
abitavano anche l'isola di Tule. Tutto ciò può anche farci pensare che nelle
attuali zone circumpolari non dovessero esistere condizioni climatiche
sfavorevoli alla vita nell'epoca descritta dai due autori classici (che io
colloco alla fine dell'ultima glaciazione). Nella letteratura antica vengono
fatti molti riferimenti ad isole situate nell'Atlantico e per quanto riguarda
il nostro discorso può venirci in aiuto Eliano che nelle sue " Storie
Varie", cita un brano tratto da Teopompo, il quale parla di un'isola
abitata nell'Oceano Atlantico. " L'Europa, l'Asia, l'Africa sono isole,
circondate dall'Oceano: vi è solo una terra che si possa chiamare continente,
ed è la Meropide, che si trova
al di fuori di questo mondo. La sua grandezza è enorme. Tutti gli animali vi
sono di grande mole, ed anche gli uomini sono alti il doppio ed anche la durata
della loro vita è doppia della nostra. Vi sono grandi e numerose città, con
costumi particolari, e con leggi profondamente diverse dalle nostre.[...]
Gli abitanti di Eusebes (una città della Meropide) vivono in pace e godono di
grandi ricchezze e raccolgono i frutti della terra senza far uso di aratro e
buoi: seminare e lavorare non costano loro fatica. Vivono sempre in buona
salute, e passano il loro tempo in allegria e nei piaceri. La loro
giustizia è superiore ad ogni discussione: anche gli dei amano perciò render
loro visita. Gli abitanti di Machimos (altra città della Meropide) sono molto
bellicosi, si trovano sempre in guerra e tendono a sottomettere le popolazioni
confinanti, cosicchè la loro città ha ora il dominio su molti popoli diversi.
Essi sono meno di due milioni[...] Una volta decisero di passare in queste
nostre isole: attraversato l'oceano, con migliaia e migliaia di uomini giunsero
presso gli Iperborei. Ma, avendo saputo che questi erano considerati il popolo
più felice tra noi, considerate le loro misere condizioni di vita, ritennero
inutile procedere oltre [...]." La descrizione dell'Isola di Meropide ci
ricorda vagamente la storia di Atlantide di Platone e a mio avviso questo
potrebbe essere uno dei pochi riferimenti ad un'Atlantide precedente alla
distruzione finale e che è nel suo periodo di espansione. Probabilmente questi
miti e storie che ho collegato insieme si possono riunire in questo modo.
Atlantide nel suo periodo di espansione, conquista la terra degli Iperborei
(probabilmente l'antica popolazione degli Atlantidei è stata a sua volta
conquistata culturalmente da quella più evoluta degli Iperborei) e rende questi
ultimi suoi sudditi. Tule, che forse all'epoca era molto più estesa e collegata
con all'isola di Atlantide divenne parte dell'Impero Atlantideo e rimase in
questa condizione fino alla catastrofe del 9.500 a.C.circa. Il clima cambiò e
le zone del nord Europa divennero fredde ed inospitali, provocando l'estinzione
dei mammut. Con questi miti la storia di Atlantide diventa più chiara e
comprensibile e l'isola di Poseidone è sempre più vicina.
Axel Famiglini
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