|
|
|
|
Abbazia di San Galgano |
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
Rotonda di Montesiepi |
|
|
|
|
|
Spada di San Galgano |
|
|
|
|
|
|
|
SOVANA
I primi abitanti di Sovana furono piccoli gruppi di agricoltori
e pastori, come dimostrano le tombe risalenti al VII secolo a.C. I loro
insediamenti erano posti sulle varie alture tufacee prospicienti il medio
corso del fiume Fiora.
La costruzione dell’antica Sovana fu dovuta proprio a questi piccoli nuclei
che, unendosi, dettero vita alla città di "Suana". Il luogo prescelto fu
quello sperone tufaceo isolato dai torrenti Folonia e Calesine dove ancora
oggi esiste ciò che rimane dell’antica Suana. Strade etrusche la collegavano
con Statonia, Saturnia e con i territori di Chiusi e Cetona. Agli inizi del VI
secolo a.C.
Suana aveva acquisito una notevole importanza tanto che un suo cittadino potè
prendere parte alle lotte degli Etruschi per il predominio di Roma. Negli anni
successivi, fino al IV sec. a.C. anche Sovana risentì delle generali
condizioni di crisi che investirono l’Etruria e che portarono alla scomparsa
di alcuni centri, ma riuscì comunque a mantenere una continuità di vita urbana
non indifferente. Sovana, con Statonia, e altri centri etruschi delle valli
del Fiora e dell’Albegna, appartenne al territorio di influenza della potente
Vulci. Prese parte alle lotte sostenute dagli Etruschi per impedire la
penetrazione romana, finchè anche Vulci e Volsinii caddero vinte dal Console
Caio Tiberio nel 278 a.C. Statonia fu eretta dai romani a prefettura "Civitas
sine suffragio" e Sovana divenne "Municipium". La prosperità agricola e
commerciale, lo sviluppo dell’artigianato, fecero di Sovana una città tra le
più fiorenti, come dimostrano le bellissime e monumentali tombe rupestri di
cui si arricchì la necropoli. L’influenza romana non determinò drastici
mutamenti a Sovana, tanto che essa mantenne fino al I sec.a.C. la scrittura
etrusca.
La città etrusca di Sovana apparteneva culturalmente al territorio di Vulci;
sorgeva su uno sperone tufaceo posto tra due torrenti, a poca distanza da
Pitigliano, località del viterbese. Le mura cingevano la parte della città non
protetta dalle difese naturali e sono visibili ancora oggi. Intorno alla città
sono state rinvenute due strade antiche profondamente infossate nel tufo: il
frutto del passaggio su una roccia molto tenera di persone animali e veicoli e
dell'erosione. Sono le cosiddette vie cave, a volte infossate anche 15 metri.
La più famosa di queste strade è chiamata "Cavone" ed era anticamente
costeggiata da tombe. Le necropoli circondavano la città da ogni parte. Le
tombe monumentali più elaborate sono del tipo a tempio (Tomba Ildebranda,
Tomba Pola) o a edicola con ricche decorazioni scolpite (Tomba del Tifone,
Tomba della Sirena, Tomba del Sileno).
Le più diffuse sono però le tombe a dado, con falsa porta e cippo sovrastante.
Le tombe a tempio sono imponenti e la parte sopra la camera funeraria
riproduce, con frontoni, colonne e fregi, la facciata di un tempio. Dai
sepolcreti si è dedotto che il momento di maggior splendore di Sovana fu nel
7- 6 a.C..
SOVANA - le VIE CAVE
Meritano una visita anche le tipiche "cave" di Sorano nei
pressi di Sovana, quelle singolari vie lunghe, buie e strette, profondamente
incassate nella roccia tufacea che dai Pianetti scendono a lambire le sponde
del fiume Lente. La folta vegetazione che spontaneamente cresce alle sommità
delle alte pareti ne occulta l’ ubicazione da qualunque parte si osservino. A
percorrerle a piedi danno l’impressione di trovarsi dentro a viscere di un
immenso serpente in movimento, tante sono le curve, ora strette ora ampie, che
si presentano agli occhi. Il percorso, anche se molto tortuoso, non ha
pendenze eccessive, mentre l’ altezza delle pareti raggiunge in certi casi
anche venti metri. Per millenni hanno visto passare genti di ogni linguaggio e
condizione sociale, fino a che il progresso, con le strade asfaltate, non le
ha gettate nell’ abbandonno totale. Oggi soltanto qualche coraggioso turista
si avventura, a suo rischio e pericolo, alla loro esplorazione ; sempre che si
riesca a indovinare l’ ingresso dato che nemmeno un cartello ne indica l’
esistenza.
Sono in molti ad affermare che originariamente le "cave" non erano altro che
una specie di ruscelletti che portavano acqua al fiume Lente. Ma chi conosce
bene questi posti, e ha indagato per anni sul passato, sostiene che immani
precipizi, ben celati dalla vegetazione, orlano di continuo le profonde gole
vallive, dove sarebbe quasi arduo, anche ai nostri giorni, costruire qualsiasi
tipo di strada. Esse sono state scavate esclusivamente per farne "percorsi" ;
all’inizio potevano essere soltanto semplici sentieri appena accennati sul
terreno, che poi pastori e mandriani, conducendo i loro armenti ai fiumi
sottostanti, resero più simili a classiche mulattiere. Con l’arrivo degli
etruschi le cave, da umidi e scoscesi diverticoli, si trasformarono in strade
di grande comunicazione.
Da abili ingegneri in idraulica essi resero efficenti le cave ; regolarono,
uniformandola, la tendenza stradale ; allargarono i punti più stretti e
provvidero a canalizzare le acque piovane, che impetuose vi scorrevano durante
violenti temporali, cause maggiori dello continua erosione. Sistemate queste
strade e rese percorribili ai carriaggi, il traffico cominciò a svolgersi tra
Saturnia e Sovana da una parte, Statonia, Vulci, Chiusi dall’altra. Che queste
"cave" di Sorano, per intenderci quelle di San Rocco, San Vanlentino e Case
Rocchi, siano state "costruite" lo dimostra il fatto che, nonostante partano
da zone distanti tra loro, sboccano assai vicine l’una all’altra alla triplice
confluenza dei tre fiumi del Cercone, Castelsereno e Lente, nell’unico punto
della valle piatto e assai spazioso, da cui si può accedere agevolmente a
Sorano attraverso l’antica porta dei Merli o del Lente.Anche le vie cave
contribuivano, secondo molti studiosi, a rendere più difficile e pericoloso
l’accesso ai nemici che volevano tentare di avvicinarsi in armi all’abitato.
Nei punti di confluenza di queste "vie" nella stretta vallata del Lente,
sorgevano poi vecchi mulini ad acqua a cui i contadini della zona conducevano
gli asini carichi di grano da macinare.
cliccare sulle immagini per ingrandirle