cliccare sulle immagini per ingrandirle
I sotterranei di Narni
Il percorso inizia dal complesso conventuale di S. Domenico con l'ingresso in
una chiesa del XII secolo, scoperta solo 20 anni fa, che conserva affreschi tra
i più antichi della città.
Attraverso un varco nella muratura si passa in un locale con cisterna romana,
probabilmente resto di una domus, e subito dopo, percorrendo un lungo cunicolo,
si giunge in una grande sala, dove avvenivano luogo gli interrogatori del
Tribunale dell'Inquisizione, attestata da documenti ritrovati nell'archivio
storico comunale e dai segni lasciati dagli strumenti di tortura sulla muratura.Una
piccola cella, unica in Italia nel suo genere, documenta con segni graffiti
sulle pareti le sofferenze patite dagli inquisiti, uno dei quali ha voluto
lasciare un messaggio attraverso un codice grafico, non ancora completamente
decifrato.
|
|
|
sulla strada per Narni.. |
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
Resto chiesa protoromanica |
|
Iniziamo il viaggio nella
cella.... |
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
La Foresta Fossile di Dunarobba
Questo sito paleontologico è uno dei più importanti del mondo. Già dal 1600,
per opera del Principe Federico Cesi e dello Stellutti, si era a conoscenza
dell'esistenza di ritrovamenti di legni fossili nelle campagne di Avigliano
Umbro, Montecastrilli, Sismano e Rosaro.
Caratteristiche
I resti dei grandi tronchi , visibili nella vicina area della Foresta Fossile
di Dunarobba, costituiscono un’eccezionale testimonianza della vegetazione
esistente in questa parte dell’Italia centrale fra circa 3 e 2 milioni di anni
or sono.
Siamo infatti fra la fine del Pliocene medio ed il superiore, quando fra i
Monti Amerini ed i Martani si estendeva un vasto specchio lacustre cui è stato
dato il nome di Lago Tiberino.
Attorno alle sue sponde, e probabilmente anche lungo le pendici dei rilievi
montuosi, si sviluppava una rigogliosa foresta di clima temperato-caldo-umido.
La specie arborea dominante era rappresentata da una grande conifera, le cui
foglie ricordano un po’ quelle dei cipressi nostrani. Si trattava di alberi
imponenti che superavano i 30 m di altezza; l’ambiente preferito era quello
degli acquitrini , di estesi pantani posti ai margini del lago vero e proprio,
più profondo.
Non è ancora stabilito con certezza a quale specie appartengano gli alberi
della foresta: gli studiosi (i paleobotanici) sono infatti giunti a diverse
attribuzioni avendo affrontato lo studio da diversi punti di vista. Alcuni
hanno esaminato il polline, altri i frutti ed i semi, oltre alle foglie, altri
ancora il legno. Mentre si è concordi sulla famiglia, quella delle Taxodiacee,
il polline indica un’appartenenza ad un’essenza “tipo” Sequoia, l’analisi del
legno conclude per la specie Taxodioxylon gypsaceum, lo studio dei frutti e
dei semi indica invece l’appartenenza a Glyptostrobus europaeus.
Le prime due specie sono proprie delle zone umide degli Stati Uniti, mentre la
terza è affine alle conifere della Cina meridionale.
Un caratteristica dei tronchi è il loro singolare stato di conservazione: dopo
oltre due milioni d’anni essi non sono “pietrificati”, ossia la loro sostanza
originale non è stata sostituita o mineralizzata da altri composti chimici.
Chi ha studiato i legni dice che si tratta di una fossilizzazione avvenuta per
un processo di mummificazione, in altre parole per una disidratazione del
legno. L’aspetto dei tronchi è infatti incredibilmente fresco, qualcuno è
andato bruciato da mani dolose; un un’altra minaccia è costituita da un
insetto, la Xylocopa violacea, che è un grosso apide le cui larve si nutrono
della cellulosa scavando lunghe gallerie nel legno. Mentre sono state
rinvenute diverse specie di molluschi, terrestri ed acquatici, dai sedimenti
che ricoprivano i tronchi non sono stati sinora recuperati resti di
vertebrati,. Si può tuttavia immaginare che la foresta sia stata abitata da
diverse specie di mammiferi ed il fatto che non ne siano state indivuate le
spoglie può avere cause diverse: in primo luogo l’area attualmente visibile
della foresta è piuttosto limitata e qualche resto è magari sepolto nelle
vicinanze. Inoltre quando, allo stato selvaggio, un animale muore il suo corpo
è preda dei carnivori, la carcassa va in decomposizione, lo scheletro si
disarticola e le ossa – sparse sul terreno – rimangono a lungo esposte agli
agenti atmosferici, fino a sfarinarsi. Un’altra spiegazione è che gli alberi
della foresta crescevano, come già detto, in zone acquitrinose che non
offrivano grandi pascoli agli erbivori. Si deve poi tener conto che giacimenti
con ossa sono assai sporadici e la loro scoperta è generalmente casuale. Lo
scheletro del rinoceronte di Capitone (Narni), visibile nelle riproduzioni
presso il Centro di Paleontologia Vegetale della Foresta Fossile, è venuto
alla luce durante i lavori di allargamento di una strada. Che questo scheletro
sia pressoché completo è una circostanza fortunata: significa che il suo corpo
è rimasto sepolto dalle alluvioni subito dopo la sua morte; inoltre esso visse
in tempi ed ambiente diversi da quelli della foresta. In ogni caso, grandi e
piccoli mammiferi vivevano nei pressi del lago e della foresta stessa, com’è
testimoniato dal rinvenimento in un deposito alluvionale presso Todi, di resti
– seppur scarsi – di rinoceronte, bovide, daino e di roditori.
Fra gli invertebrati è stato rinvenuto qualche granchio; è anche assai
probabile che la foresta sia stata abitata da numerosi insetti, la loro
fossilizzazione è però problematica perché sono sprovvisti di scheletro. I
molluschi, al contrario sono piuttosto abbondanti, e l’analisi delle loro
caratteristiche ecologiche conferma l’ambiente paludoso delle foresta.
Verso la fine del Pliocene, poco dopo i due milioni d’anni fa, un
raffreddamento globale del clima, accompagnato da un abbassamento del livello
marino e dal sollevamento del territorio, ha innescato un consistente processo
d’erosione sui versanti montani, fino a produrre l’apertura di un varco nei
Monti Amerini, attraverso il quale sono defluite a mare le acque del Lago
Tiberino che, alla fine, s’è svuotato ed ha lasciato il suo spazio ad un fiume
che sfociava in mare in corrispondenza del Passo di San Pellegrino (sulla
Strada Amerina in territorio di Narni).
Questa crisi climatica e lo svuotamento del lago, con i conseguenti mutamenti
dell’ambiente e del paesaggio, hanno determinato l’estinzione della Foresta di
Dunarobba: con essa sono scomparse definitivamente le grandi conifere dallo
scenario europeo.
|