Come si rovina il Monferrato

a cura della Thule Piemonte

Una delle terre più rinomate della nostra regione, per la qualità della vita, per il patrimonio eno gastronomico e per il paesaggio d’altri tempi è quella vasta zona del Piemonte che va sotto il nome di Monferrato.

Sino alla fine agli anni ’40 questa zona ha mantenuto il proprio specifico carattere geologico, architettonico e paesaggistico, assunto nel corso dei secoli, quando non dei millenni, in un armonico processo di insediamento delle popolazioni ivi stanziatesi, a partire dalle tribù Liguri protoindoeuropee e celtiche, sino alla conquista romana. Infine l’ultimo grande contributo al processo di insediamento in questa zona del Piemonte è stato dato dall’arrivo dei Longobardi nell’alto medioevo, con l’istituzione di fare, poi successivamente divenute feudi dell’Imperatore dopo la conquista Franca. Proprio con i Longobardi il Monferrato assume la sua conformazione urbanistica definitiva con la costruzione di castelli, abbarbicati sui colli più alti, di pievi e monasteri, di infrastrutture coloniche per la coltivazione della terra, di torri di avvistamento. Altri contributi dei Longobardi si rintracciano nei toponimi (Murisengo, Odalengo, Zoalengo, Rinco, Frinco, e tanti altri) e nel dialetto. Questo tratto urbanistico ben si concilia con la struttura geologica del territorio, con i suoi colli e colline che intramezzate da strette valli vedono il Monferrato terra rigogliosa per la coltivazione ed in particolare per la viticoltura.

Giunti alle soglie della modernità il Monferrato si presentava ancora come una zona di grandi tradizioni feudali e contadine e con una struttura urbanistica rigeneratasi coerentemente per circa mille anni.

Ma dalla seconda metà del XX secolo in poi il progressivo mutare del ceto contadino in ceto imprenditoriale, con l’eccessiva facilitazione da parte delle strutture governative nel concedere permessi ad edificare (in particolare concessioni edilizie agevolate alle aziende agricole) e con l’esplodere in tutta la penisola del processo di cementificazione il Monferrato ha visto sorgere ovunque, di contro a qualsiasi sensibilità storica, artistica e/o paesaggistica una serie di fabbricati industriali, capannoni, prefabbricati per migliaia di metri cubi di cemento che ne hanno minato la bellezza e la vivibilità.

Nonostante le amministrazioni comunali siano state, e siano ancora, del tutto dimentiche del senso di responsabilità nei confronti dell’ecosistema e del paesaggio che hanno ricevuto in amministrazione, da tempo si parla di favorire il turismo in Monferrato.

Tutto ciò appare parossistico; poiché da una parte le amministrazioni locali (regione, provincia, comuni e sovrintendenza) continuano ad approvare piani regolatori anarchici di qualsiasi visione urbanistica, favoriscono o comunque non ostacolano lo sfruttamento geologico indiscriminato del sottosuolo, permettono che decine di imprese agricole costruiscano capannoni di cemento armato senza in alcun modo verificarne preventivamente l’impatto ambientale; d’altra parte si fa un continuo cianciare di turismo, feste, fiere, rievocazioni e altre puerili occasioni di onanismo collettivo. Sì! perché fare rievocazioni medioevali nel cemento armato ci sembra la solita perversione da politici italiani, figli del sessantottesco “vietato vietare”.

Un esempio di “lungimiranza e sensibilità urbanistica” le amministrazioni locali l’hanno dimostrata ad esempio presso le cave di Moleto (AL), quest’ultimo paese completamente “mangiato” dall’omonima cava di gesso che ne ha totalmente mutato la struttura e “inghiottito” il patrimonio storico artistico (tra cui il borgo e la chiesa paleo romanica), comprese le famose grotte “dei saraceni”, importante sito archeologico testimoniante un culto mitraico in Monferrato nel basso impero Romano.

Un altro caso che pare incredibile è l’abbattimento nel 2003/2004 del castello medioevale di Pessine nel comune di Odalengo Piccolo (AL), sede della storica raffigurazione dell’Agnus Dei, la quale per decenni aveva appassionato i ricercatori locali che avevano tentato di svelarne il simbolismo. Infatti, senza che alcun ente locale abbia alzato un dito, il castello di Pessine è stato interamente abbattuto per poter poi riutilizzare l’area su cui sorgeva per la costruzione di un moderno hotel di lusso in cemento armato. Nonostante la pregevole opera di informazione effettuata dai giornali locali lo scempio avvenne con il placito degli enti locali tutti.

Ma nonostante queste opere di abbrutimento collettivo continuino, si fa sempre più forte l’intenzione dei politici locali di promuovere il turismo. Il perché è presto detto: la politica locale piemontese è completamente asservita ad interessi economici particolaristici di potenti lobby che impongono grazie al proprio portafogli agli amministratori le decisioni in termini di concessioni edilizie. La strategia è presto detta: io ricco imprenditore acquisto un terreno agricolo ad un valore irrisorio, poi “invito caldamente” l’amministratore locale (a cui ho preventivamente finanziato la campagna elettorale) a rendere edificabile il terreno in questione, così il mio terreno ora vale il triplo e posso scegliere se cementificarlo io con delle villette a schiera, se costruire un capannone senza pagare gli oneri di urbanizzazione (perché sono anche agricoltore diretto, quindi godo di forti agevolazioni in tal senso) oppure se venderlo come terreno edificabile ad una impresa edile che caso strano è diretta dall’amico architetto del geometra comunale, che vedrò approvato il suo progetto di costruire un grattacielo a sei piani in piena campagna. Notate bene: tutto ciò non avviene in una caraibica repubblica delle banane ma nel cuore della terra dei liberali, dei democratici e insomma come direbbe Ciampi, dei padri della patria) !

Ma d’altra parte le amministrazioni locali ricevono contributi dagli enti nazionali e regionali soprattutto a fronte di progetti culturali, artistici e turistici. Per questo le amministrazioni sono obbligate a fare proclami in materia turistica e organizzare feste vacue e insensate (perché ambientate in un territorio ormai stuprato e cementificato) pur di ricevere contributi. L’economia insomma la fa da padrona, e nessuno è in grado di capire che di questo passo anche l’economia della zona ne perderà, poiché se la cementificazione democratica continuerà, i terreni, le abitazioni e gli esercizi pubblici perderanno interamente il loro valore, o comunque lo vedranno calare vertiginosamente.

Un esempio calzante è quanto è accaduto a Cocconato d’Asti, un tempo luogo tra i più pittoreschi del Monferrato Artigiano. Oggi il massiccio collinare dal quale si accede al paese è stato interamente sventrato dalla costruzione di un opificio-bunker di proprietà di una importante azienda multinazionale.

In qualità di Thule Piemonte abbiamo raccolto alcune immagini che bene dimostrano l’attacco frontale che la cementificazione sta portando al paesaggio monferrino grazie ad una efficace tecnica di distrazione mediatica delle amministrazioni e degli enti locali che con la continua finta delle politiche turistiche tacciono della reale situazione in cui versano le nostre campagne.

Il primo contributo fotografico illustra i capannoni costruiti in spregio alla zona archeologica di Sant’Emiliano, sede di un insediamento monastico in epoca medioevale. Nelle immagini successive potrete invece gustarvi l’impatto ambientale di altre colate di cemento, tutte autorizzate e incoraggiate dagli enti locali per favorire amici, vecchi compagni di partito o amici degli amici.

Tocca a noi dire basta alla nostra classe dirigente, capace di sventolare l’ecologia solo durante la campagna elettorale.